Giallo

Il mistero dell'arte nelle opere di Nino Filastò

Domenica, 29 Giugno 2025

"Non saprei spiegarle in modo razionale la rabbia che provoca in me un falsario... È lo sconvolgimento naturale del tempo che mi turba". Così si esprimeva Nino Filastò nel romanzo Incubo di signora, pubblicato nel 1990, il testo che avvia la riflessione dell'avvocato fiorentino sul tema del falso artistico. Al centro della vicenda si trova il personaggio - immaginario, ed è bene sottolinearlo, dato che, come vedremo in seguito, la realtà e la finzione hanno tra loro un confine sottile nelle opere dell'autore - di Angelica Degli Alberetti, marchesa decaduta, nipote di una mercante d'arte su cui si addensano sospetti di truffe e falsificazioni.

Angelica Degli Alberetti ha svenduto il patrimonio artistico della famiglia e in quella svendita è finito anche uno studio di Paolo Uccello per la predella del Miracolo dell'Ostia, che i giornali riferiscono verrà venduta per dieci miliardi di lire. Il venditore dell'opera è Giovanni Scalistri, mercante d'arte che ha appreso il proprio mestiere dalla nonna di Angelica Degli Alberetti. Dietro il successo della nonna di Angelica si cela l'opera di un falsario capace di travestire la propria arte sotto una spoglia differente a seconda dell'autore che imita. E quel falsario, attraverso l'attività della vecchia mercante d'arte, avrebbe riempito di proprie opere i musei di mezza Europa. Solo rari critici d'arte sarebbero in grado di individuare, osservando i dettagli minimi delle opere, le tele false, separandole da quelle dei maestri originali. Il metodo morelliano, consistente nell'osservare proprio quei dettagli, anticipa i tempi delle più moderne pratiche scientifiche, capaci di datare con precisione le opere d'arte, come sapientemente illustrato dallo storico dell'arte Noah Charney ne L'arte del falso (2020).

Charney conferma la visione di Nino Filastò di una storia dell'arte contaminata dall'attività dei falsari, di grandi musei su cui si allunga l'ombra del dubbio. Il vero e il falso. L'originale e la copia. Categorie non così impermeabili. Il falsario del romanzo di Filastò inserisce nei suoi quadri figure maschili equivoche e colloca le figure femminili in pose umilianti. E si spinge a utilizzare come modelli alcuni ragazzi morti e che sono stati ritratti nelle fotografie del quotidiani. Al personaggio di Angelica Degli Alberetti spetta il compito di tentare una beffa ai danni di Giovanni Scalistri, giocando sul filo sottile dell'originale e della copia. Le pagine di Nino Filastò si adattano al filone della beffa di plautina memoria, attraverso una lingua colta e imbevuta di fiorentinismi. Protagonista del romanzo è l'avvocato Corrado Scalzi, alter ego letterario dello scrittore, che compare in tante opere di Filastò.

Incubo di signora è un'opera multiprospettica, all'interno della quale il senso del mistero si allarga e coinvolge più personaggi descritti, più vicende. Il mistero dei quadri, certamente; ma anche quello della condotta dei personaggi; infine quello della scomparsa di persone coinvolte nella vicenda. Un dedalo di storie e accadimenti sinistri che si annida in piani temporali comunicanti. I registri linguistici sono molteplici, così come i generi che la narrazione convoglia: il romanzo giallo si mescola con la commedia antica, l'indagine convive con le riflessioni critiche sul mondo dell'arte, la pratica forense modella la tragedia umana. Pratica forense che non è mancata nella vita di Nino Filastò, morto nel 2021 e noto per essere stato l'avvocato difensore di Mario Vanni nel processo ai cosiddetti compagni di merende nell'ambito della vicenda del Mostro di Firenze. E a tale vicenda Filastò risulta intrinsecamente legato, in quanto autore di un testo fondativo di quel pensiero che critica le sentenze ufficiali, Storia delle merende infami (2005).

Spiace pensare che oggi nella memoria collettiva non resti traccia dell'attività di Filastò scrittore. Non che Storia delle merende infami sia un testo privo di valore. Il saggio, infatti, offre una lunga disquisizione sulla storia della giurisprudenza italiana, sulle sue derivazioni medievali e sull'influsso che su di essa ha esercitato l'inquisizione. Ma quel che interessa in questa sede è la rivalutazione letteraria del Filastò narratore. Il successo delle sue opere narrative tradotte sul mercato tedesco non ha portato a una fama nazionale. E se il Premio Tedeschi (1986) per La tana dell'oste ha fruttato una certa fama tra i lettori del Giallo Mondadori, non si è speso inchiostro a commento della sua attività narrativa. Nel breve saggio Il giallo letterario (2024), mi sono speso per inquadrare l'azione di Nino Filastò nell'ambito del genere giallo, in particolar modo nel sottolineare la valenza letteraria del suo operato. In quel saggio individuavo Nino Filastò come uno degli autori capaci di proseguire il discorso avviato da Gadda sul fronte della commistione tra genere giallo e comico. In particolare, ponevo Filastò nel filone di autori, inaugurato da Ugo Facco De Lagarda con Il commissario Pepe (1965), capaci di adattare i topoi della commedia classica allo schematismo del giallo di derivazione italiana.

L'obiettivo di questo articolo è inquadrare l'opera di ibridazione tra generi e registri di parte dell'opera di Nino Filastò. E per farlo dobbiamo spingerci a commentare una seconda opera, che prosegue lo scandaglio del tema del falso artistico cominciato con Incubo di signora e che verrà poi concluso in un terzo testo, Aringa rossa (2004). In La notte delle rose nere (1997), lo scrittore fiorentino affronta l'episodio delle false teste di Modigliani. E lo fa da un punto prospettico privilegiato: fu amico e legale del noto esperto d'arte e collezionista Carlo Pepi, che tanto si spese (in concomitanza con la figlia di Modì, Jeanne Modigliani, che morì - sinistra coincidenza - il 27 Luglio del 1984) per difendere l'autore livornese dalla vasta attività dei falsari, come testimoniato in una intervista: "Qualunque opera (di Modigliani) ha quotazioni da capogiro e, eccetto me, non c'è nessuno che faccia sentire la propria voce e si batta contro quest'alluvione di falsari che fa comodo a troppi". Al noto collezionista ed esperto d'arte, Filastò ha dedicato anche il testo Carlo Pepi: il Don Chisciotte dell'arte, scritto con Giuseppe Recchia.

La notte delle rose nere riprende dalla cronaca il noto avvenimento della beffa delle tre teste false di Modigliani rinvenute nel Fosso Reale il 24 luglio e il 10 agosto 1984. Il romanzo si concentra su una costola di quel noto fatto di cronaca che ha destabilizzato il mondo della critica d'arte. A latere dello scherzo delle false teste, infatti, vi fu un altro avvenimento: il ritrovamento di altre tre presunte teste di Modigliani, quasi certamente vere, questa volta. Protagonista del nuovo episodio fu un carrozziere livornese di nome Pietro Carboni. Veniamo alla finzione narrativa. Il romanzo si concentra su immaginarie (o forse no?) morti sospette che hanno riguardato personaggi coinvolti a vario titolo nella vicenda: il riservato critico d'arte Wayne James è stato trovato annegato vicino al molo di Livorno. Sarà stato un incidente? L'ipotesi non convince del tutto gli inquirenti. Sulla morte di Sacrì, un "ufologo" della zona, ci sono invece pochi dubbi: è stato un omicidio. Che le due morti siano collegate? Quali segreti, vizi, scandali collegano queste due morti? La cronaca viene masticata dall'autore fiorentino e adattata alle esigenze di una narrazione complessa, che riprende da vicino i metodi utilizzati nel romanzo precedente, Incubo di signora.

Anche in La notte delle rose nere grande spazio è riservato alla riflessione sul mondo dell'arte, in particolare sul falso artistico. Il romanzo approfondisce il tema e si concentra sul concetto di mercificazione dell'opera d'arte. "...Avrebbe dimostrato che la vita di un artista non era più come diceva Modì..., bensì nient'altro che uno strumento per produrre merce brutale, un mezzo come un altro per accrescere la mercificazione globale. Che le opere d'arte, come tutte le cose di questo mondo comprato e venduto, non sono che oggetti ai quali soltanto chi è in grado di usare lo strapotere del denaro può attribuire valore...". Filastò narra di un mondo commerciale in grado di rendere sterile l'arte attraverso la sua commercializzazione. La beffa delle false teste di Modigliani è risultata funzionale a destrutturare l'organismo parassitario dei critici d'arte. La verve polemica si estende a macchia d'olio anche agli "artisti nati vecchi", come li chiama Filastò, "rannicchiati nella culla rassicurante del passato, che cercano sempre di ridimensionare gli innovatori". Prosegue l'autore: "Con la frottola del grande Modigliani umiliato dal giudizio negativo, che non crede più a se stesso e che compie il suicidio artistico (gettare le sculture nel fossato), i postmacchiaioli del Caffè Bardi si erano ingranditi... Quelli che oggi rinfocolavano la fandonia dimostravano la stessa acredine. Invidiosi e presuntuosi quelli di allora... ma più meschini questi ultimi: giornalisti mediocri, critici mediocri, politicanti mediocri, burocrati".

È prezioso comprendere quanto sia stata forte l'influenza della figura di Carlo Pepi sulla stesura di questi passaggi del romanzo di Filastò. In un'intervista, Carlo Pepi sostiene, a proposito delle sculture recuperate nel Fosso Reale nell'estate del 1984: "Ma come attribuire ad Amedeo Modigliani queste porcherie, fatte da due mani diverse?... Era un'operazione che avevo ideato anch'io: mi ero fatto fare delle sculture di Modigliani false, perché volevo dimostrare ciò di cui da tanti anni sono convinto: che la critica sa tutto della storia dell'arte, però se si trova a dover valutare un'opera in concreto non sa riconoscere il vero dal falso. La critica internazionale non ha occhio. Per cui io le faccio fare false e le prenderanno per buone di sicuro". Il fatto che la narrativa di Filastò fosse influenzata dal pensiero di Carlo Pepi testimonia la capacità del narratore di abbracciare un universo narrativo ampio, all'interno del quale venivano sbriciolati materiali appartenenti alla cronaca e sapientemente miscelati con la finzione di genere giallo, così come la critica dell'arte trovava posto e si mescolava con la trama di detection e favoriva lo sviluppo dei personaggi.

Rileggendo le pagine dell'autore fiorentino oggi, la sua passione per la disquisizione artistica e la critica nei confronti dell'attività degli esperti d'arte acquisiscono un tono premonitorio: come se Filastò avesse voluto lanciare un monito, anche a tutela di se stesso, in favore di tutti quegli artisti - scrittori compresi -, che non hanno ricevuto una giusta attenzione da parte dei critici di settore. Critici che spesso, come sosteneva Pepi, conoscono a memoria la tradizione critica del settore di cui si occupano, ma, dovendo fare i conti con un artista senza il supporto di scritti eseguiti da altri, spesso non sanno distinguere il vero dal falso, l'opera letteraria dall'opera di consumo.

N.d.R.: Sempre Daniele Vacchino ha redatto in passato un approfondimento dal titolo Teatralità ed evoluzione del giallo nelle opere di Nino Filastò e Fruttero & Lucentini.

Scheda del libro

  • Titolo: Monade 116
  • Collana: Fantascienza, 14
  • Autore: Robert Silverberg
  • Traduttore: Pierantonio Rumignani,
  • Pagine: 206
  • Editore: Delta fantascienza
  • Anno: 1974
  • Anobii: scheda del libro

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