Giallo
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Giallo (9)

Traduttrice, sceneggiatrice, agente e critica d’arte, la figura di Lucia Drudi Demby è una delle più singolari, all'interno del mondo "culturale" italiano. Veneziana di origine, nasce infatti nella città lagunare nel 1924; viene a mancare a metà degli anni Novanta in quel di Firenze. Tra le due date, una vita all'insegna anche della scrittura, con la pubblicazione di sei libri, le cui uscite sono concentrate nell'arco di una dozzina d’anni, tra il 1973 e il 1985. Una sua biografia molto esaustiva e completa è disponibile sul sito Enciclopedia delle donne.

Il sepolcro di carta di Sergio Donati è un giallo come tanti altri, probabilmente non meritevole di molta attenzione, soprattutto a distanza di così tanti anni dalla sua pubblicazione. La cosa non va letta in chiave negativa, visto che fu scritto per finire in edicola per I Gialli Mondadori, con l’obiettivo di intrattenere per qualche ora, giusto il tempo di acquistare poi un nuovo numero della collana a distanza di qualche settimana. Ecco, pur ammettendo che non si tratta di un capolavoro, Il sepolcro di carta ha tuttavia qualche jolly da giocare, se non altro nella storia italiana del romanzo di genere.

Vasco Mariotti può essere considerato, senza ombra di dubbio, uno dei padri del giallo italiano, almeno da un punto di vista anagrafico, visto che fece parte della prima schiera che negli anni Trenta dovette soddisfare l’esigenza del regime fascista, in ottemperanza al progetto autarchico, di sviluppare una produzione libraria autoctona1.

Giuseppe Pederiali è un nome che non necessita di molte presentazioni, capace in passato di coniugare con la sua scrittura il mondo del fantastico con quello del reale, dando alle stampe oltre una trentina di titoli interessanti e di successo. Detto questo, possiamo anche affermare che qualche "libraccio", nel senso più buono del termine, anche lui l’ha sulla coscienza. Senza scomodare Zora la vampira, di cui fu l'ideatore e della quale si potrebbe tornare a parlare in futuro, merita una menzione speciale, per il pubblico di Mattatoio n.5, il libro Povero assassino, uscito nel “lontano” 1973 per la Fratelli Fabbri Editore, nella collana Sotto accusa.

Roma. Un giovane miliardario inglese, noto per il suo eccentrico interesse per il soprannaturale, si toglie la vita in circostanze apparentemente inspiegabili, lasciando la vedova alle prese con parenti pronti ad avventarsi come rapaci sulla cospicua eredità e il protagonista, un sedicente professore di parapsicologia, a indagare privatamente, scavando nel misterioso passato dei personaggi coinvolti. Fin qui nulla di strano: si potrebbe pensare al più classico dei gialli imperniato sul tema del “complotto di famiglia”, magari con un tocco di finto paranormale, utilizzato per arricchire gli stereotipi del genere. Tuttavia Terapia mortale si discosta nettamente da questi cliché, trascinando il lettore in una vicenda dai toni cupi, quasi kafkiani, dove i protagonisti si trovano a fronteggiare situazioni di possessione ben peggiori delle classiche apparizioni di fantasmi, tipiche del tradizionale filone gotico, descritte con toni onirici e spesso disorientanti.

Nel caleidoscopio d'un giornale femminile un dongiovanni fa strage di cuori senza curarsi delle lacrime delle amanti d'una sera. Ma ci sarà una donna che non accettando il brusco addio trasformerà in odio la sua passione bruciante. E la violenza dell'odio genererà una catena di delitti che sarà sciolta da un nuovo amore.

Nonostante tutto – lo confesso – avevo una certa riluttanza ad affrontare il De Rossignoli 'rosa': quell'autore, cioè, che fra fine anni '70 e inizio anni '80 aveva licenziato per Sonzogno (la casa editrice, per dire, di Liala) romanzi dai titoli come Concerto per una bambola, Strega alla moda e – appunto – La donna di ghiaccio, apparentemente dimentico dei suoi trascorsi vampirici. E però le bancarelle di paese sono bestie imprevedibili, e nell'avvicinarle è mestieri abbandonarsi alla serendipità: questa, poi, era stata per me teatro di mirabili trouvaille fin dai tempi delle elementari, da Kolosimo al Memoriale di Sant'Elena, e fino a lussuose riviste d'avventura degli anni '30 da far venire una sincope a qualunque studioso di postcolonial. Di sotto a una pila di Harmony, il libercolo occhieggiava proprio me: valeva la pena soprassedere sulla copertina (un indegno acquerello da inserto di Grand Hotel) e sul riassunto in quarta ("Ho amato due uomini diversi tra loro come l'estate e l'inverno"); e finanche, complice un agosto piovoso e un bar davanti a un lago, affrontarne, persino con una certa curiosità, la lettura.

Jarma Lewis è uno degli pseudonimi di cui si servì Emilio De' Rossignoli nel corso della propria vita. Come accennato nell'articolo Ultimo indirizzo conosciuto: R105, N246, Jarma Lewis era un'attrice americana, non molto nota al grande pubblico, ma che in qualche modo seppe colpire l'immaginazione dello scrittore milanese, molto attento alle dinamiche hollywoodiane, tanto da indurlo a firmare con tale nome alcuni titoli per la collana "I gialli che turbano", edita nei primi anni Sessanta dall'Editoriale Franco Signori di Milano.

Lo confesso, non sono la persona più adatta a recensire in maniera neutrale e sincera un libro di Emilio de’ Rossignoli. Dopo mesi di ricerche, indagando e curiosando tra il molto materiale cartaceo e il poco della sua vita privata giunti fino a noi, non riesco a dimostrarmi obiettivo nei suoi confronti, trova ancora oggi il modo di... turbarmi e viziarmi, magari sotto un quarto di luna.