Giallo

Teatralità ed evoluzione del giallo nelle opere di Nino Filastò e Fruttero & Lucentini

Mercoledì, 27 Dicembre 2023

Ogni testo costruisce un cosmo narrativo, una visione del mondo. Opere appartenenti a un medesimo genere condividono una similare propensione filosofica nel delineare i tratti della realtà che la trama circoscrive. I gialli di matrice anglosassone ne sono un esempio. In generale, le opere riconducibili al genere giallo tratteggiano un cosmo ordinato, dominato dalle procedure rincuoranti, dalle attività umane positive e razionali; il delitto è un evento brutale che sconvolge l'equilibrio borghese, che è sano e rituale.

Compito dell'investigatore è quello di ricomporre l'equilibrio perduto, attraverso l'utilizzo salvifico dei mezzi razionali. Il genere giallo crede nelle scienze positive, apprezza l'ordine e si riflette nella borghesia. A ben guardare, però, la calma borghese è al tempo stesso un viatico e una minaccia: sotto di sé cova i germi della noia e, in termini rovesciati, il delitto è anche l'evento caotico che permette di superare l'impasse del quotidiano. Il giallo è un genere meccanico e procedurale. Per questo, nella sua espressione più canonica e classica, ha poco del procedimento artistico: si adatta alla produzione in serie, alla riproposizione. In giallo che si fa letteratura, invece, ha la capacità di sfruttare i canoni in favore del messaggio che vuole recapitare al lettore. Forza gli schemi e ne acquista energia. Consegna al lettore una propria idea del cosmo che non è quella tramandata dalle precedenti produzioni. Esistono autori che sono stati in grado di andare oltre il genere e di creare una versione filosofica del mondo, ma questa visione è stata adottata in ogni opera, senza che il lettore potesse assistere a un'evoluzione nel processo creativo del microcosmo narrativo dell'autore.

Ne è un esempio Andrea Camilleri (che offre al lettore un cosmo di equilibrio ispirato alla cultura classica, all'interno del quale Salvo Montalbano recita la parte dell'uomo rinascimentale, in armonia con il contesto che domina senza soprusi, in dialogo costante con l'umanità che incontra, capace di dare ad ogni istanza della propria vita uno spazio adeguato, all'insegna dell'equilibrio dell'antropos moderno), la cui prima prova avente per protagonista la figura del commissario Montalbano, La forma dell'acqua, è un giallo raffinato basato sul pirandelliano fraintendimento tra ciò che lo specchio sociale offre e la realtà profonda insita in ognuno di noi. I dialoghi dalla forte tinta teatrale poggiano sulla lingua ibrida italiano - dialetto siciliano. Le prove successive dello scrittore di Porto Empedocle non raggiungeranno la stessa qualità letteraria dell'opera di esordio e l'universo costruito in quella prima opera sarà lo stesso in cui prenderanno forma tutte le prove successive.

Paolo Levi, che tentò durante la sua intera carriera di scrivere sempre lo stesso libro, secondo il diktat di Svevo, appartiene alla medesima categoria. Il mondo narrativo dei testi di Paolo Levi è un universo borghese in cui la moderazione e l'educazione sono il modo con cui affrontare le difficoltà, entrare in rapporto con gli altri, mantenere un equilibrio nel microcosmo narrativo. La figura di Mario Aldara, protagonista di più di una sua opera, è quella che meglio rappresenta l'ideale umano in grado di agire nel cosmo architettato dall'autore. Il mondo borghese di Levi è intaccato dal germe della solitudine e Mario Aldara ondeggia pericolosamente sul crinale che separa la vita coniugale e la solitudine dello scapolo. Sono personaggi intrappolati bonariamente in un limbo eterno di ripetizioni oscillatorie, i personaggi di Levi.

Nino Filastò fu un autore di romanzi gialli capace di smarcarsi dalla meccanica del genere. Vincitore del Premio Tedeschi con La tana dell'oste mise in mostra fin dagli esordi una lingua colta, imbevuta di cultura classica, che durante i dialoghi si impreziosisce di fiorentinismi. Poggiando sulle solide basi legali che la sua professione gli consentiva, ha scritto legal - thriller di tutto rispetto. Le tematiche dei suoi testi sono ricorrenti: la passione per l'arte e l'ossessione per il falso artistico; la vena comico - grottesca; la fissazione per l'archeologia. Il mondo che emerge dai suoi libri è mutevole, ma conserva caratteri generici fissi: un universo contraffatto ed eroso, altolocato e spendaccione, dentro il quale malcapitati personaggi crollano in buchi scuri di indigenza e isolamento. Per quei personaggi, il riscatto risulta possibile solo attraverso la truffa. Vi è in Filastò una disillusione nei confronti della legge. Il suo lavoro di avvocato difensore lo convinse che per rimediare alla truffa è possibile unicamente mettere in atto un nuovo raggiro. Per costruire narrativamente questa struttura, lo scrittore si affida ai canoni della commedia antica, che conosce alla perfezione, e la beffa rappresenta la più mirabile forma di riscatto umano, morale e sociale. Nello specifico, la beffa ai danni del delinquente.

Incubo di signora è il più riuscito tentativo di coniugare il mito della beffa di ispirazione classica alla teatralità del genere giallo. Il falso artistico e la sua difficile collocazione sono alla base dell'intrigo messo in scena dall'autore toscano. E Firenze diventa una città di splendori e miserie, una città della Roma antica, una città rinascimentale. Il romanzo è il degno erede de Il commissario Pepe di Ugo Facco De Lagarda, per la capacità di fare convivere l'intelaiatura gialla con la struttura della commedia antica. Più volte ho ripensato a questi due romanzi, per la stesura di due miei testi gialli. Mi riferisco a La pinacoteca delle copie e a Le sghangherate inchieste del vicequestore Incagli. Il primo è un giallo inafferrabile sul tema della copia artistica, il secondo un giallo che modella i topoi della commedia antica al genere moderno. Ho sempre ritenuto che due fossero le caratteristiche che identificassero l'autorialità artistica: la consapevolezza e la capacità di evoluzione di un autore. Per questo ci interessa questo argomento dell'evoluzione del cosmo narrativo proposto. E per questo Nino Filastò è un autore di gialli letterari di alto pregio. Ma torniamo a lui. La portata dell'universo narrativo delineato da Filastò è notevole e ha la capacità di mostrarsi in differenti sfumature. In La notte delle tre rose riesuma le false statue di Modigliani. Ma in L'alfabeto di Eden si affida a un cosmo metafisico, dove riluce l'essenza di un mistero che trascende le vicende umane. Ma è soprattutto in Storia delle merende infami, il saggio sulla vicenda del Mostro di Firenze, che l'autore, nobilitando la materia cronachistica a materia culturale e letteraria, delinea i confini di un mondo che egli vede dominato da una legge di stampo medievale, in cui la confessione rappresenta il metro unico di misurazione dell'atto reo e la superstizione per una caccia alle streghe aleggia ancora nelle aule dei tribunali.

Su Fruttero & Lucentini, la nota "Ditta", si è speso inchiostro, se non adeguato, per lo meno sufficiente, se paragonato a quello utilizzato per i loro colleghi più sfortunati del giallo. In questa sede ci interessa evidenziare come il marchio di fabbrica della loro intera attività, vale a dire il chiacchiericcio, il vociare, il ciarlare dei protagonisti circa fatti di svariata natura che finiscono per coinvolgere anche le frange esterne di fatti delittuosi sia rimasto impresso su ogni loro testo, perfino su un giallo come Donne informate sui fatti, che Carlo Fruttero scrisse quando il suo amico e collega era già deceduto. Anzi, a maggior ragione su quel testo. Come se l'amico sopravvissuto intendesse ergere quell'opera a simbolo e omaggio dell'intero operato della coppia. Il chiacchiericcio come metodo. E, in parte, come visione del mondo, come archetipo umano e sociale. Vite sconclusionate, le nostre, le vostre, le loro. Dominate dalla parola, che ha capacità investigativa prima ancora dell'esistenza dell'ispettore stesso, nonostante la natura di colui che verrà incaricato di indagare. Ma il mondo che delinea la narrazione per mezzo dell'ubiquo chiacchiericcio muta con il passare del tempo. Ne La donna della domenica, il cosmo è quello della Torino da bene dei cavilli giuridici, della precedenza del codice sulla natura. Ma, quasi due decenni dopo, sarà quello vacanziero dell'intersezione tra mondo animale e mondo umano, in una contemplazione assolata della desolazione umana dominata dalla depressione. In quel ventennio, si modellerà in modo ancora diverso e sarà il turno de Il palio delle contrade morte, in cui il mondo ultraterreno si affaccia sulle faccende umane e lo oscura con le sue ombre di polistirolo. Fantasmi. Voci umane.

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