Home

Esistono libri che sono fatti di una scrittura anonima e che non aggiungono nulla al reame di carta esistente, né lasciano un messaggio nei tessuti connettivi di chi li ha letti. Eppure possono essere piacevoli, sugli scaffali delle librerie scompaiono rapidamente, vengono venduti come pane. E poi esistono libri composti con una scrittura personale, dove tra le righe il lettore esperto può rinvenire il seme di un intento artistico, di affermazione autoriale rispetto al marasma di carta scritta che respira in ogni angolo del pianeta e del tempo. E magari da questa seconda categoria, il lettore può estrapolare un senso delle cose, un messaggio, a dirla banalmente, che lo spiazzi, che gli consegni una visione del reale differente rispetto a quella che aveva prima, una concezione della logica modificata, proprio grazie alla porzione di innovazione che lo scrittore ha trasmesso alle sue pagine.

I KKK classici dell’orrore sono finiti dal ’72. I Racconti di Dracula agonizzano nelle edicole tra ristampe e anonimato. Sulle rastrelliere immagino valanghe di fumetti porno horror, pocket di facile consumo per militari e viaggiatori annoiati (ma ormai anche il gotico pecoreccio ha ingolfato e Attualità Nera segna nuove rotte verso l’abisso). Per non parlare di miriadi di riviste per soli adulti, pubblicazioni che invadono letteralmente l’immaginario collettivo. In questo bailamme, altrove, in libreria, Sonzogno licenzia un romanzetto che potrebbe essere un degno epigono dei thrilling di Laura Toscano. Occhi di Laura Mars di tale H. B. Gilmour. Harriet B. Gilmour (24 novembre 1939, Brooklyn, New York – 21 giugno 2009, Cornwallville, New York) ha lavorato come copywriter, redattrice e direttore associato del marketing per la Bantam. Ha scritto libri per bambini e novellizzazione di film di successo. Gli occhi è uno di questi ed è a traino del film omonimo, scritto da John Carpenter e dallo sceneggiatore David Zelag Goodman.

Berlusconi è passato dall’altra parte. Alla fine è capitato pure a lui. Un granello di polvere ha inceppato il meccanismo dello storytelling infinito. Nelle ore e nei giorni successivi alla sua scomparsa ho smesso di leggere giornali, di guardare la Tv. Avvertivo un fastidio profondo per quell’invadenza mediatica, per i funerali di Stato, eccetera. Lo dico da subito: non ho mai provato simpatia per il personaggio, non l’ho mai votato e, al solo vederlo, percepivo un senso di fastidio. Non l’ho detestato per la questione delle donnine discinte che gli giravano intorno (figurarsi, non sono un moralista), tantomeno per le accuse, pesantissime, di collusioni mafiose (non amo i complottismi e, fino a prova contraria, non mi piace pensare a un tre volte presidente del consiglio che traffica con gli stragisti) o per i mille processi in cui è incappato (per finire con mille mezzucci quasi sempre assolto, tranne una volta in cui è andato ai servizi sociali); il mio disagio è sempre stato qualcosa di inspiegabile, uno “stare sui cabassisi” a pelle, per quell’aria da smargiasso coi soldi, da piazzista col sorriso di plastica e fondotinta marrone. Poi non amo i narcisisti, i megalomani in generale.

Ogni testo costruisce un cosmo narrativo, una visione del mondo. Opere appartenenti a un medesimo genere condividono una similare propensione filosofica nel delineare i tratti della realtà che la trama circoscrive. I gialli di matrice anglosassone ne sono un esempio. In generale, le opere riconducibili al genere giallo tratteggiano un cosmo ordinato, dominato dalle procedure rincuoranti, dalle attività umane positive e razionali; il delitto è un evento brutale che sconvolge l'equilibrio borghese, che è sano e rituale.

La narrativa di genere ha avuto da sempre un rapporto controverso con la cronaca. Spesso le trame gialle e thriller si sono ostinatamente allontanate, separate dagli eventi reali, quasi a esprimere una certa allergia, come se trarre spunto da eventi realmente accaduti screditasse l'operazione in narrativa. In altri casi, invece, si è assistito a un rapporto simbiotico, di dipendenza, di ispirazione, della materia narrativa dai fatti di cronaca. In un saggio sulla narrativa popolare (KKK i Classici dell'Orrore e l'Italian Giallo) mi sono spinto a suggerire la possibilità di un'inversione di ruoli: la narrativa che ispira la cronaca nera. Ma questo aspetto resterà fuori dai confini del nostro discorso.

Questo libro di Alberto Savinio ruota attorno a due temi principali, strettamente interconnessi tra loro: il pensiero della morte e quello transito del tempo, che è come dire l'avviamento alla morte. Nella prefazione lo scrittore stesso ci offre una possibile chiave di lettura dell'opera: il filo dell'Ispirazione diventa visibile, ma i misteri che attendo il Lettore oltre la soglia di queste porte-racconti restano tali.

A due mesi dalla sua uscita in libreria e dopo una ventina di presentazioni pubbliche, tra Emilia e Lombardia, sento fortemente il desiderio di prendere carta e penna per raccontare La pianura dei portici. Ho scelto di farlo qui, su Mattatoio n.5, dopo aver cercato invano un posto che potesse accogliere le mie parole. Ho condiviso il mio pensiero in vari contesti e ho notato che la situazione è fondamentalmente la stessa anche sulle cosiddette riviste indipendenti: "Sei un nessuno, passa oltre”.

Dieci anni fa nasceva Mattatoio n. 5, da un incontro fortuito tra cercatori di libri e di storie. Ci eravamo messi sulle tracce di Emilio de Rossignoli, di cui all’epoca si sapeva pochissimo; l’avevamo cercato nei suoi luoghi, trovato al cimitero di Lambrate e scoperto su di lui tante altre cose che si possono leggere nel libro che gli abbiamo dedicato.

"Un negro voleva Iole" (Giometti&Antonello) presenta una selezione di racconti, editi ma rimasti ignoti ai più e aforismi, totalmente inediti, dello scrittore scomparso nel 1972 che ebbe un’esistenza tumultuosa e che, in vita, rimase sempre ai margini della letteratura italiana

Frugando sul web su Tommaso Pincio ci si può fare un’idea veloce: pragmatismo linguistico, narratore che si è formato nella cultura degli anni ’80 e ’90, che non ama entrare in contatto coi suoi lettori ed è indifferente alla sua identità o ai suoi doppi. Ancora Pincio come figura anomala del nostro panorama letterario: coetaneo dei Cannibali, con alle spalle esperienze da pittore, gallerista, traduttore. Insomma uno poco inquadrabile, un po’ come il compianto Andrea G. Pinketts, che meriterebbe prima o poi un articolo di approfondimento.

Il genere gotico e quello thriller possiedono un grado di parentela maggiore di quel che si pensi. Entrambi sono dominati da un senso di abbandono. L'abbandono nel tempo remoto in fuga da un presente che corre è il motore del genere gotico (e non a caso è attraversato da un vento nostalgico e si affaccia nei momenti di sviluppo sociale e tecnologico), mentre l'abbandono all'irrazionale, all'irrequietezza, al delirio, alla follia è il meccanismo su cui poggia le basi il thriller. Su entrambi si allunga l'ombra del languore. Sono due generi nostalgici, in fondo.

Il Racconto d’autunno di Tommaso Landolfi (Adelphi, 1995) è caratterizzato da un'atmosfera crepuscolare e onirica. Il Lettore è chiamato a varcare la soglia iniziatica dell’Arcano XVIII (tanti sono i capitoli del libro, se si esclude la conclusione), a entrare nel regno di Immaginazione, Oscurità, Irrazionalità e Illusione.

Scrittore, giornalista, regista, poeta, fumettista dimenticato, che personalmente trovo una delle menti e delle penne più brillanti del Novecento e infatti, di lui, ho scritto moltissimo, anche nei miei saggi a carattere esoterico (si veda in particolare il mio saggio Universo Massonico, pubblicato da Bastogi nel 2012).

Mi è d’abitudine comprare un libro per il viaggio. Entro in una libreria e esco col volume che leggerò. Così ho fatto a Parma poiché con mio figlio, partiti da Calvisano, eravamo diretti a L’Aquila procedendo per tappe, su treni regionali. La libreria era quella dell’amico Ernesto, Piccoli Labirinti, verso piazzale Santa Croce per intenderci. Per farla breve, come altre volte mi è capitato, il volume che ancora non conoscevo e che cercavo era lì che mi guardava: Comisso, Gadda, Bacchelli. Con soprattitolo: Scrittori italiani in viaggio attraverso l’Italia, editore a me sconosciuto “dalla costa” in minuscolo. Al banco, l’amico libraio mi avvisa: “Una bella casa editrice, con dei bei titoli, peccato che sia fallita quasi subito.” In treno leggo e ora che finisco tutte le tappe, una settimana di viaggio, l’ho belle che finito. Un saggio sui racconti di viaggio di questi tre autori, ben scritto, approfondito ma sobriamente, avvincente persino. Tre autori, Giovanni Comisso, Carlo Emilio Gadda e Riccardo Bacchelli. Un veneto, un milanese e un bolognese.

Mi capita di interrogarmi sul rapporto che alcuni autori hanno avuto con il genere giallo. Sarà perché, da invisibile della scrittura, reputo di fare parte di coloro che, nel corso della propria traiettoria autoriale, hanno sviluppato una certa ossessione per il giallo perfetto, non tanto e non solo per quanto concerne il meccanismo di indagine e risoluzione del caso, ma soprattutto per quanto concerne la sfera letteraria.

Cesare Bermani, nel bellissimo Il bambino è servito (1991), parlando delle leggende urbane si ricollega al folklore e ai grandi affreschi storico-etnografici degli anni ’50 e ’60; il mondo magico lucano-salentino di Ernesto De Martino, le riflessioni di Carlo Ginzburg sul sabba, fino agli studi di Jung sul simbolo, di Bettelheim sulla fiaba e di Freund sul perturbante. Particolare la lunga citazione dagli Annales d’histoire économique et sociale di Marc Bloch sulla psicologia collettiva e gli errori e le falsità che essa produce. Notizie false, errori che si propagano e si amplificano ingigantendosi di bocca in bocca, testimonianze imperfette che contengono i pregiudizi e i timori della società che li ha prodotti. La chiosa di Bermani a Bloch è essenziale: le leggende sono errori di un inconscio collettivo che si propagano perché portatori di una verità rimossa.

Nel 1985 Giorgio Manganelli pubblica con Rizzoli Dall’Inferno, oggi ristampato presso Adelphi. Non si tratta della prima discesa del Manga nell’aldilà, ma sicuramente ne è uno dei momenti più minacciosi. Dall’Inferno è un libro (difficile definirlo romanzo o qualunque altra cosa) ostico e ossessivo; la voce disincarnata del narratore si presenta, con molti dubbi, come quella di un morto, di un’anima trapassata per estenuazione.

Mi sono accorto che su Mattatoio n.5 non si è quasi mai parlato di poesia. Nulla di strano, la poesia la scrive chiunque ma non la legge nessuno - tuttavia mi colpiva questa assenza, visto che lo stesso "nostro" Max Boschini ne ha scritta, per l'editore Miraggi di Torino. Personalmente ho avuto un rapporto incostante e di rimozione con la scrittura in versi; ho attraversato lunghi tratti della mia esperienza di lettore senza leggerne un rigo, alternando brevi periodi febbricitanti in cui credo di aver letto tutto, seguiti da altri lunghissimi decenni di assoluta repulsione.

Anna Banti è una grande signora, non solo della letteratura, ma della cultura tout court del Novecento. I suoi vasti interessi e la sua poliedrica personalità ne fanno un'intellettuale difficilmente inquadrabile in una rigida classificazione. È stata infatti non solo scrittrice ma anche storica dell'arte, critica letteraria, teatrale e cinematografica. Si occupò anche di traduzioni per Mondadori, prima per Vanity Fair di William Makepeace Thackeray e poi per Jacob’s room di Virginia Woolf. Oltre alla numerosa produzione saggistica apparsa sulla rivista Paragone, da lei fondata nel 1949 col marito Roberto Longhi, è stata autrice di sette raccolte di racconti e di nove romanzi. Prima di parlare di uno di questi, La camicia bruciata, mi preme tracciarne un profilo biografico.

Sono stato recentemente a Cesenatico, per qualche ora di sole e relax sull’Adriatico, nel corso della quale mi sono messo a cercare il famoso tesoro nascosto. Tesoro che non ho poi trovato sotto la sabbia, ma in via Giosuè Carducci al civico 28, in un'edicola dove alcuni libri erano posti in vendita a pochi euro. Tra questi spiccava Nella nebbia e altri racconti di Eraldo Baldini, con la prefazione di Tino Dalla Valle.

Di solito su queste pagine trattiamo di testi polverosi e difficili da reperire. Poi capita qualche eccezione, come nel caso di Pura razza bastarda, libro uscito nel 2018 per Laurana Editore e che ho letto recentemente. Corposo, sia per la mole che per la quantità dei temi trattati, il lavoro dello scrittore Paolo Grugni si presta a più interpretazioni: romanzo, diario, ricerca storica, almanacco sportivo e musicale. 

Traduttrice, sceneggiatrice, agente e critica d’arte, la figura di Lucia Drudi Demby è una delle più singolari, all'interno del mondo "culturale" italiano. Veneziana di origine, nasce infatti nella città lagunare nel 1924; viene a mancare a metà degli anni Novanta in quel di Firenze. Tra le due date, una vita all'insegna anche della scrittura, con la pubblicazione di sei libri, le cui uscite sono concentrate nell'arco di una dozzina d’anni, tra il 1973 e il 1985. Una sua biografia molto esaustiva e completa è disponibile sul sito Enciclopedia delle donne.

Giuseppe Tardiola in alcune fertilissime pagine de Il vampiro nella letteratura italiana (1991) accenna - tra i primi – alle misconosciute collane dei Racconti di Dracula e KKK classici dell’orrore, rifacendosi agli accenni fatti prima di lui da Domenico Cammarota Jr (1984) - quando ancora sotto lo pseudonimo di Max Dave si credeva un tale Gaetano Sorrentino? In questi brevi accenni Tardiola si riferisce al ventennio compreso fra gli anni ’50 e ’60 come uno dei più neri e fecondi per la sopravvivenza di una via tutta italiana al fantastico. Cinema, letteratura, fumetti, fotoromanzi, in un gioco di influenze e rimandi testuali tra i vari linguaggi.

Nino Salvaneschi è stato scrittore, giornalista e poeta. Nato a Pavia nel 1886, nel 1921 dà alle stampe Sirénide, il romanzo di Capri, il suo ultimo lavoro prima di diventare cieco. A tal proposito, qualche decennio dopo, affermava che “quella era l’isola del sogno, sulla quale trovò la forza per realizzare l’ultimo libro che doveva scrivere con i suoi occhi”. 

Qualche tempo fa ho letto Malacqua, romanzo sul quale non ho poi scritto nulla perché recentemente ristampato da Bompiani, nella collana Narratori italiani. Il libro mi era particolarmente piaciuto, tanto da portarmi a fare qualche approfondimento su Nicola Pugliese, che lo scrisse nel 1976 per poi pubblicarlo con Einaudi. Tra le informazioni recuperate, alcune associavano il suo nome a quello di Giovanni Amedeo: stessa origine partenopea e medesime attitudini.

Pagina 1 di 5