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Domanda di prestito, di Angelo Fiore

Mercoledì, 22 Maggio 2024

Se vi piacciono gli autori sconosciuti e misteriosi, non potete perdervi il siciliano Angelo Fiore, il più celebre autore sconosciuto del Novecento. Può un autore essere famoso e ignoto allo stesso tempo? Sembra di sì con il nostro strano personaggio, capace di vincere premi prestigiosi, di avere lodi dalla critica più importante, firmare contratti con grandi editori, ed essere introvabile in libreria e affatto sconosciuto. Vediamo come si svolsero i fatti.

Già la sua biografia è interessante: nato nel 1908 a Palermo, lavorò come impiegato statale fino al 1943 quando prestò servizio come interprete per l'Esercito Americano in Sicilia e di seguito, passato il concorso statale, svolse la professione di insegnante di inglese negli istituti tecnici, fino alla pensione. Non risulta che ebbe figli o che si sposò. Nel 1963 (a 55 anni) uscì la sua prima e unica raccolta di racconti, Un caso di coscienza, tenuta a battesimo da Mario Luzi e Romano Bilenchi. Seguirono altri 4 romanzi di media lunghezza e un quinto, grande come un romanzo russo, dal titolo L’erede del Beato, uscito nel 1981 per Rusconi. Morì solo, in un ospizio di Palermo, a 78 anni (nel 1986) dopo aver vinto un Marzotto e il Premio Internazionale Mediterraneo. Fine della biografia di Angelo Fiore.

C’è da dire che la Sicilia non è nuova a scrittori silenziosi per gran parte della loro vita e poi improvvisamente esplosi e diventati famosissimi. Uno fra tutti, un nobile di antica casata Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore di un unico romanzo rifiutato da tutte le case editrici e pubblicato solo nel 1958 da Feltrinelli. L’autore non lo venne mai a sapere perché era morto di tumore solo qualche mese prima. Il libro, Il Gattopardo, divenne un best seller internazionale e uno dei più importanti romanzi del dopoguerra.

E insomma, con Angelo Fiore non andò così. Si tende a dare la colpa al suo carattere chiuso e poco incline alle pubbliche relazioni, si racconta di un evidente imbarazzo alla premiazione del Marzotto, con lui che non sapeva cosa dire e cosa fare (forse parendogli tutto un dover dire e un dover fare), io credo, però, che un po’ la colpa sia anche di quello che scriveva. La pagina di Wikipedia, che ho scritto io perché non c’era, dice:

La scrittura di Fiore raggiunge intensità liriche notevoli conferendo alla narrazione un'impronta allucinatoria. Nei suoi romanzi vi è descritto un universo in disfacimento, dove un'umanità ingobbita dalla meschinità vive di continui raggiri e di sospetti. Il protagonista è sempre un forestiero che non riesce a farsi accettare nel consorzio umano dove, senza motivo, si è venuto a trovare.

e più sotto:

La visione della vita, in Fiore, è assolutamente pessimista perché non vi è possibilità di riscatto, l'uomo è fatuo, in balia di continui arrovellamenti e delle sue passioni che non gli portano nessuna felicità, sempre in attesa di un evento risolutore. Dio, per Fiore, esiste in quanto manca di esistenza e la sua vita è un peregrinare sulla terra nella assoluta mancanza di un progetto o di un fine.

Non proprio un autore per le masse. I suoi sono stati definiti anti romanzi e, in effetti, come definizione ci sta. Ricordo un amico cui era venuta voglia di leggere questo Angelo Fiore, che sempre citavo mentre ci scrivevo la tesi, e che, quando vide il volume, relativamente smilzo di pagine e scritto in corpo grande, affermò che avrebbe potuto leggerlo in un paio di giorni. Me lo restituì due settimane dopo, pregandomi di non fargli leggere altro. Oltre che faticosamente attraversabile, gli mise addosso una gran tristezza esistenziale.

Tra i miei amici, la storia di come ho conosciuto Fiore è nota. Ero all’Aquila, alla solita mia libreria Colacchi, e prendendo un volume da un vecchio scaffale, ne intravvidi, dietro la fila di libri, uno messo in orizzontale, vittima di una lontana caduta e dimenticato. Spostai altri volumi per farci passare la mano e ne estrassi questo sporco involucro di cellophane, che appunto conteneva il libro del titolo – Domanda di prestito.

Che cos’era? Un romanzo, anzi un anti romanzo, il più estremo di Fiore, l’ultimo della serie, prima della grande opera finale de L’Erede del Beato. Questo è l’Incipit:

Il sindaco di P. scriveva in un librone, e aveva il sorriso di mistica letizia sulle labbra. L'assessore anziano Bosco alzò gli occhi dal giornale:
− Stefano, hai letto l'articolo di padre M.?
− Sì, l'ho visto.
− È molto bello.
− È scritto da Padre M.
− Già; è pieno di entusiasmo; fa l'elogio di questo comune e della tua opera. Ascolta. − E Bosco lesse ad alta voce: «P. è la città degli uomini e per gli uomini, dove si attua senza sforzo, allegramente, il rinnovato accordo dell'uomo con Dio».
Entrò Mulé, il factotum, e diede al sindaco una lettera:
− L'abbiamo ricevuta ora.
Il sindaco la guardò:
− Arriva il nuovo segretario.
− Finalmente − disse Goretti, l'assessore aggiunto. − Come si chiama?
− Falchi. Luigi Falchi.
− Nome e cognome da sciagurato − Bosco deplorò.

Direi una prosa veloce, secca. Il testo si snoda per quasi 200 pagine, appunto, con poche e asciutte descrizioni, e molti dialoghi. Qualcuno ha fatto il nome di Federigo Tozzi, un altro amato dalla critica che, se non fosse perché è nelle antologie scolastiche, oggi sarebbe dimenticato.

Che cosa succede in questo romanzo? Un sacco di cose, ma sostanzialmente nulla. La trama procede per ellissi, incagliandosi su drammi per pagine e pagine, ma ecco che, senza trovare soluzione, sono passati anni e nessuno ricorda più gli eventi; tutto è nebuloso. La vita dei protagonisti è fatua, disseminata di fatti violenti; c’è qualche omicidio che rimane irrisolto. Manca un progetto, un senso. I protagonisti vivono la condanna di essere liberi, ma senza possibilità, non hanno scopo, tutto è irrealizzabile o vano. C’è tensione erotica, brama di possesso, ma non c’è amore; si anela a un significato superiore che non arriverà. L’impressione che ne ho avuto, è che in realtà nel libro tutto sia già avvenuto, ma questa realizzazione non ha dato i frutti sperati. L’umanità un bel giorno si è svegliata e ha detto a se stessa: “Adesso che abbiamo tutto, che ce ne facciamo?”

La “domanda di prestito” del titolo è la richiesta, continua e pressante, che Luigi Falchi fa al sindaco, di soldi. Non verrà mai detto, in tutto il romanzo, a cosa debba servire questo denaro, a un segretario comunale che vive, senza moglie o figli, in affitto in una stanza presso una famiglia. Il sindaco, un tipo, al contrario di Falchi, dal carattere nervoso e risoluto, gliene concede, sempre meno dei richiesti, e ogni tanto li rivorrebbe indietro, oppure minaccia che non ci sarà un’altra volta. Ma finisce che troverà sempre il modo di allungare qualcosa, sapendo bene che non avrà mai niente indietro. Chiaramente, l’assurdo è il sintomo di un livello di lettura più alto, e infatti noi ci domandiamo che cosa sia in realtà quella continua richiesta di denaro. Potrebbe essere una richiesta di riconoscimento, che noi pretendiamo prima dai genitori e poi dalla società, quasi come se ci fosse dovuta. Falchi non ha qualità, né in negativo né in positivo, cerca riconoscimento per il solo fatto di esistere, non per qualche merito. È l’uomo che domanda agli altri e a se stesso: “Ho io diritto di esistere al di là di quello che faccio o non faccio?”. Una domanda enorme.

Giacinto Spagnoletti ne fa uno scrittore di dimensioni europee, vero erede di Pirandello. E con giudizi altrettanto esposti e lusinghieri ne parlano anche Bilenchi e Geno Pampaloni. Si fanno i nomi di Dostoevskij e di Kafka e per una volta, dico io, non a caso. Più il russo che il ceco, direi, i Demoni specialmente, quel tortuoso romanzo, mal riuscito e immenso, che è l’epopea delle vane illusioni degli uomini. In Domanda di prestito la vera protagonista è la vita, la nostra esistenza terrena, presa per intera.

Fiore viene notato da vecchio, viene riconosciuto ai più alti livelli, ma al contrario di un Gesualdo Bufalino (un altro siciliano esordiente da pensionato) che ne ha tratto un nuovo slancio vitale, prova un piacere distaccato, come davanti alla conferma delle sue teorie, che vogliono la vita assurda e priva di senso. A che è valso diventare famosi? L’ultima parte della sua vita la passa scrivendo, restandosene appartato e probabilmente sorridendo fra sé di tanti encomi.

Domanda di Prestito, edito per Vallecchi nel 1976, l’ho ristampato io a mie spese per Gattogrigio, lo trovate in tutti gli store, con un saggio di Antonio Di Grado. È la prima ristampa in quasi 50 anni.

Scheda del libro

  • Titolo: Domanda di prestito
  • Collana: Gli Introvabili
  • Autore: Angelo Fiore
  • A cura di: Leonardo Tonini
  • Pagine: 267
  • Editore: Gattogrigio Editore
  • Anno: 1976 / 2021 rist.