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Le Papesse di carta, parte I: breve viaggio nell’erotismo da edicola dei ’70

Mercoledì, 12 Gennaio 2022

Scorrendo il bel volume Bompiani di Saran Alexandrian sulla storia della letteratura erotica, cerco un aggancio per cominciare questo pezzo (pezzo che se stai leggendo, caro lettore, è segno della larghezza di vedute del nostro buon Boschini, uomo colto e di mondo). In realtà i nomi snocciolati da Alexandrian si collegano ben poco a quel di cui voglio parlarvi. Tralasciamo proprio i classici greci e latini, così come gli erotomani cortesi (col loro eros metafisico), o le salaci e deliranti operette rivoluzionarie e controrivoluzionarie di fine ‘700.

L’erotismo (o la pornografia, in letteratura il distinguo è sottile e inutile) contemporaneo potremmo farlo partire dall’immaginaria e artificiosa Pauline Réage, fino all’esotica e divertente Emanuelle Arsan. Da non dimenticare il grande erotomane Pierre Louys, sarcastico descrittore di giovanissime e gracili depravate, o le fustigazioni corporali di Mac Orlan, fino alle originali derive erotiche dei surrealisti (Eluard, Aragon e l’inarrivabile Bataille). Le curiosità surrealiste, così come le confessioni erotiche di un marginale come Henry Miller, non sembrano nutrire l’albero genealogico di una narrativa di massa che esplode tra gli anni ’60 e ’70 e che trova anche nella pornografia da edicola uno dei suoi massimi propulsori. 

Aggirandomi come un seminarista tra bancarelle dell’usato e copertine pruriginose, ho scovato una serie di libri erotici di cui mi sono innamorato pazzamente; si tratta dell’ammuffita serie de I libri proibiti, editi dalla Edigamma tra il ’74 e il ’75. Si tratta di libri pornografici di grande formato e pagine patinate. La copertina fotografica a colori, all’interno, a scandire il romanzo (tra le 120 e le 140 pagine) una serie di inserti fotografici in bianco e nero o a colori che hanno il compito di illustrare la vicenda e renderne esplicite alcune scene. Gli autori del testo, così come le modelle e i modelli, sono francesi (o così sembrerebbe).

Sfoglio alcuni volumi a caso. Sottomano ho il numero 7 del giugno 1975, Una vedova perversa di Nanette Valeroi. La copertina lascia poco spazio all’immaginazione. Il romanzo - ma il discorso non è poi diverso per gli altri - è un accumulo di automatismi di massa, un carattere artificioso pieno di sbracature, ostentazioni fantasmagoriche prive di esigenze psicologiche: la protagonista è una giovane e, all’apparenza candida, servetta di paese attratta dalla vita e dai palazzi di fine secolo parigini. Caroline (offerta subito alle fantasie del lettore come un corpo guizzante e capezzoli d’un rosa fragola) prende servizio nella bella dimora (deliziose le descrizioni dell’ambiente, con tappezzerie floreali, profusione di tappeti, pizzi, sopramobili e stoffe a fiorami) e subito fa la conoscenza della padrona di casa, algida dominatrice a cui abbandonarsi senza ritegno, in una ragnatela particolareggiata di deflorazioni e amplessi conditi da salaci improperi contro i maschi imbecilli e ortaggi cilindrici e forchette come surreali toy. Le scene di sesso (a cui si aggiunge una terza figurina ritagliata, un’altra servetta, Solange, già a conoscenza degli usi della casa) sono lunghe, d’una oscenità quasi demente e meccanica, tanto da sfarinarsi le une dentro le altre, fino a smontare e dissolvere qualunque progressione narrativa. A due terzi di questa schizofrenia lesbo, l’autrice inserisce una figura maschile armata di occhialoni e baffi spioventi, un predicatore intento a progetti di evangelizzazione di terzo e quarto mondo; il prelato e le sue speculazione teologiche si sfaldano subito in sculacciate oscene (e anche su questo le foto non lesinano nulla, pur fermandosi l’attimo primo di mostrare l’osceno esplicito della penetrazione o del pene maschile, protetto dalle mani o dalle parti del corpo delle modelle dalle forme giunoniche) e altre combinazioni, subito seguite dall’entrata in scena di un altro servitore maschio, giocattolo personale e privato della servetta Solange, fino al deliquio finale tra i servitori e l’ausilio surrealistico di un fallo di cera dal mistico valore di preservativo.

Il numero 6 del settembre ’74 si apre con un titolo e una copertina suggestiva: Le api regine, con lo strillo delle 100 foto a illustrarne i contenuti. Il romanzo di Nadine Kourisou (se si cerca su internet, di queste scrittrici donne non si scova nulla, tanto che sospetto sul fatto che possa trattarsi di pseudonimi sotto cui si nascondono narratori maschili, un po’ come accadeva per la Réage e la Arsan) comincia col botto: tre giovani camminano verso una villa isolata in mezzo alla campagna francese, entrano nella rustica magione all’apparenza abbandonata e si lasciano andare alla frenesia dei sensi, liberandosi dai reggiseni, dalle calze di nylon e dalle mutandine; le ragazze hanno nomi evocativi come Lili, Marlène, Eva. La narrazione si spezza, lasciando momentaneamente l’orgia lesbica per divagare su scienziati interessati ai problemi del sovrappopolamento e alla limitazione delle nascite; a complicare il quadro, la scrittura veloce e quasi cinematografica, mette in scena un altro personaggio che atterra con un paracadute nei pressi della villa e pare una sorta di agente americano sotto copertura. Il nostro trova a sua volta riparo nella villa, accendendo ancora di più le sensazioni erotiche infantili delle tre scalmanate. Nel corso della narrazione (sfaldata e allungata dai vagabondaggi sessuali del trio, oltre che da un lungo inserto fotografico che spacca il volume e dilata le acrobazie delle donne e dell’agente segreto) compare pure Von Braker, il proprietario della villa, sorta di sinistro entomologo dall’oscuro passato; la vicenda, orchestrata in maniera confusa su differenti piani temporali, avrà un epilogo infausto per l’agente americano, castrato e ucciso dal trio disumano. Alla fine Le api regine somiglia a un miscuglio di romanzo spionistico, scene erotiche crudeli e libidinose e personaggi che agiscono in modo casuale, senza provare alcun sentimento e senza sviluppare alcuna psicologia, se non un desiderio automatico e sadico. Non siamo lontani da tanti discorsi fatti su questo genere di letteratura automatica degli anni ’60 e ’70, solo che qui l’elemento sessuale inonda e travolge tutto.

Bello, per la tubercolinica concitazione, il numero 2 del maggio ’74, Frenesia, di Isabelle Lamouret (altro nome su cui non si trova e non vi è nulla). La vicenda parte da un prato nei pressi del bosco di Vincennes, nei dintorni di Parigi, un prato dove usano recarsi coppiette per appartarsi. Lo spunto serve per avviare una vicenda semplice di coppiette, scambisti, guardoni laidi ed esercizi di lingua per una femminilità al riparo dai benpensanti borghesi. La frenesia del titolo trova modo di dipanarsi nell’amoreggiare delle due giovani protagoniste, androgine ragazzine di ottima famiglia alle soglie dell’Università e non ancora corrotte dalle voglie dei giovani maschi. Il romanzo si evolve in un inno al voyeurismo, in un gioco di specchi tra le ragazze, un’altra coppia appartata e un gran finale di corpi allacciati in una sorta di sacrificio furioso ed erettile di vulve villose e di parossismo velato. Sorvolo su classici come Metti due puttane a cene (coacervo di coppie libertine, prostitute che vagabondano nei parchi parigini), o su altri due titoli come Una vergine particolare e Coiffeur pour dames.

Sfoglio velocemente un’altra collana tascabile (il formato è quasi quello dei Racconti di Dracula), I moderni, o I Supermoderni. I moderni sono editati dalla Lanson pubblication e ha la consueta formula del romanzetto infarcito di fotografie (dall’origine dubbia e in bianco e nero) e illustrazioni non a colori, rubriche di piccoli annunci sadomaso dei lettori e pseudo confessioni (accompagnate da foto amateur) di lettrici. La collana esce nelle edicole tra il ’73 e la fine del decennio e tratta argomenti sadomaso, in cui la figura maschile viene schiacciata, umiliata e dominata da donne con stivaloni di pelle e frustini. Gli argomenti variano dalla prostituzione (maschile e femminile), alle case del piacere, collegi per sadiche governanti, carceri femminili di insuperabile crudeltà, tratta delle bianche, ville del piacere, rapporti di violenza e sottomissione tra bianchi e gente di colore, inchieste sulle case d’appuntamenti americane. Gli autori hanno i soliti nomi stranieri (su cui nutrirei leciti dubbi), in alcuni casi però le vicende (presentate sempre come storie vere raccolte dall’autore di turno) hanno ambientazioni italianissime (un Supermoderni ambientato tra Chiavari e Rapallo e incentrato sulle disavventure di una dominatrice degli anni ‘70), con autoscatti ai margini di qualche cartello stradale, con la modella di turno a oscurarsi il viso e calarsi la gonna per urinare nell’erba. Dal 1976 le fotografie in bianco e nero che accompagnano i volumi si fanno apertamente pornografiche, con un’esibizione di falli in erezione, la solita parafernale di catene, maschere, latex, frustate sul culo e omosessualità maschile e femminile. Le fotografie di corredo sono evidentemente prese da contesti e servizi differenti (cosa che alimenta il carattere provvisorio, casuale, caotico di queste pubblicazioni, in bilico tra il lecito e l’illecito), in alcuni casi è persino possibile riconoscere alcune attrici hard dell’epoca (esempio la perfomer americana Rene Bond, spacciata per la fantomatica scrittrice Elain Mac Douglas, autrice de I Moderni n. 9, settembre 1974, Investigatore sadico e bizzarro).

Saltando ad altro sfoglio la collana de I libri della notte, editi dalla Permens editrice (dal ’70 diventa Kermesse editrice, quella che edita la collana dei I demoni, su cui sto preparando uno studio). Nella loro prima edizione si tratta di volumetti di piccole dimensioni, copertine fotografiche e, in alcuni numeri, un breve fotoromanzo (sciattissimo nella messa in scena) in chiusura. Dal ’71 il formato e la carta diventerà identico a quello de I demoni, con all’interno, oltre al breve fotoromanzo di chiusura, anche alcune illustrazioni in bianco e nero a illustrare i testi. Di questa collana ne segnalo appena un paio di volumi: il n. 3 del novembre 1969 intitolato Le ninfomani. Non si tratta di un romanzo, bensì di una sorta di saggio sulla sessualità che dall’antichità spazia velocemente alle ninfomani nella società moderna americana, tra i grattacieli e l’alienazione. Il libretto, dotato di una sensibilità reazionaria e biologica, si concede passaggi quasi lirici che ricordano certi momenti del thrilling anni ’80: "La donna dei grattacieli, La donna dello Stork Club e di Gardi’s, La donna del Waldorf e del Greenwich (solo per le soddisfazioni erotiche) può continuare con una maschera? La si incontra, questa donna, appunto nei bordelli di Manhattan, la si vede unita a negri, a portoricani, a polacchi tarati, a ogni maschio che lei, dalla borsetta da sera pagherà con un chéque elegante e con le lagrime agli occhi proprio perché l’uomo anche in suburbio come il Bronx, non ha il coraggio di picchiarla o di volerla ancora e ancora". Tra questionari sulla ninfomania moderna, la passione sessuale femminile viene stigmatizzata e mescolata ad altre tare viziose, in una sarabanda alla buona che mescola Enrico Morselli, Kraft-Ebing, Freud, Jung e deliranti statistiche sulla maggior presenza di ninfomani nelle città del Sud Italia (pare per via del caldo).

Ancora più interessante il numero 7 del marzo ’70: Nelle cliniche del vizio, altra sorta di reportage da una clinica non specificata in quel di Germania. Il volumetto presenta il caso di una tale Marlène H, rinchiusa nella clinica speciale del professor Werner, sorta di Basaglia da pornofumetto che ha una sua teoria particolare per curare le nevrosi e le parafilie dei suoi ricchi pazienti: lasciarli liberi di coltivare le loro tendenze sessuali, lasciarli liberi di interagire tra loro e manifestare le perversioni che li hanno portati ad essere esclusi dalla società. In questa sorta di Trento del sesso, Werner intrattiene relazioni sessuali con le sue pazienti, figlie di famiglie ricche di raffinati industriali tedeschi. L’aria malsana la si respira fin dalle prime pagine (ossessive, ripetitive, contratte nelle compiaciute descrizioni delle varie tare), in un crescendo di sadismo e voluttà erotica da film di genere (non mancherà anche il parossismo dell’omicidio), tanto che il saggio/finto saggio, ricorda molto certe arie de La bestia uccide a sangue freddo, coevo pornothriller ambientato tra le stanze di una clinica per erotomani; nella parte finale il saggio si sfalda, presentando altri casi clinici, stilando una bibliografia raggelante degna di un volumetto di 350 lire. Si chiude con alcune rubriche di varietà e un foto-romanzo scialbo e di rara bruttezza su una sorta di vendicatore mascherato e delle finte gang di malavitosi. Follia!

La faccio breve e salto all’ultima collana: i Romanzi illustrati dell’International press, l’editrice de Le Ore mese. Si tratta anche qui di grandi volumi con fotografie in bianco e nero e a colori che illustrano un romanzo pornografico (gli autori hanno nomi francesi, ma vien difficile crederci). I numeri escono tra il ’74 e il ’75 e sono già a un passo dal porno vero e proprio. I romanzi non lesinano su nulla: la prosa enfatica e surreale è un catalogo di situazioni classiche gonfiate ed estremizzate; la caratteristica di questa paraletteratura è quella di arrotolarsi intorno a una scenetta di base (come certi rulli pornografici) e di allungarla per un buon centinaio di pagine: abbiamo nipotine svezzate da zii vegliardi, orge casalinghe, vacanze roventi, collegi saffici.

Il numero più interessante è il 16, del dicembre 1975: Il sadico di Manhattan, storia a tinte fosche di una donna francese trapiantata nel cuore della metropoli americana, tra fiumi anonimi di gente, marciapiedi infiniti, insegne luminose, colonne di macchine. La protagonista, Martine, vive con le due figliolette, salaci adolescenti già svezzate e rapaci; il romanzo si apre con una grande scena di apertura (lunghissima) in cui le sorelline si lasciano andare alla libidine, poi, soprese dalla madre, finiscono frustate ben bene; parallelamente il racconto di tale Pierre Dumoulin ci rende edotti su un certo Frank Veronese, italoamericano circense caduto in disgrazia e menomato fisicamente, costretto a sopravvivere come ladro di appartamenti e sadico in erba (in una scena quasi scollegata dal plot erotico, il nostro sevizia e uccide con un coltello una mondana). Frank si introduce nell’appartamento delle tre francesi e dà libero sfogo alle sue follie erotiche, legando, torturando e sottoponendo madre e figlie ad ogni genere di angherie, in un crescendo di furore. Le fotografie di corredo, ben illustrano le prodezze casalinghe del folle, diventando un paratesto che ha la funzione di dialogare, suggerire e anticipare la costruzione narrativa. Dopotutto questi romanzi da edicola vivono in una sorta di zona del crepuscolo della pornografia, in perenne bilico, pronti ad essere travolti dall’evidenza delle fotografie sempre più spinte, a essere sorpassati dal dilagare delle pellicole hard, pleonastici edifici di parole rutilanti, inquiete e brulicanti, attraversate da un’eccitazione snervante e bestiale, ripetitiva fino all’ossessione, un eterno ritorno di mani fruganti, frutti rugiadosi e fantasmi della carne. Come sempre cerco di visualizzare nella mente un lettore ideale di queste pubblicazioni, comunque attratto dai misteri orfici delle edicole degli anni ’70, certo attirato dalle fotografie (comunque ormai pleonastiche, visto già in quel ’74 il dilagare di riviste pienamente hard d’importazione), diligentemente preso dalla lettura di questi fantasmi della carne.

Questo articolo ha una seconda parte, dal titolo Materia obscura