È raro che una storia di fantasmi comunichi speranza; in genere, quando i morti ritornano, c’è sempre qualcosa che non va. Può essere un trauma sepolto, o un affare lasciato a mezzo; la rabbia di chi non si rassegna alla morte, o il grottesco oblio di chi ha rimosso la propria morte come si fa con un ricordo molesto. Ed è proprio questo che stupisce in Some Ghost Stories, antologia personale licenziata da A.M. Burrage nel 1927: che i fantasmi, nei tredici racconti che compongono la collezione, sono raramente rabbiosi, quasi mai vendicativi, e solo raramente c’è un segreto cruento da disseppellire. Come già notava un esperto del settore, M.R. James, “metà dei fantasmi [di Burrage] sono graziosi, gli altri fanno un po’ di paura e nessuno è cattivo”. In Some Ghost Stories incontriamo scolarette in cerca di amiche (Playmates), un ragazzo pauroso e gentile (The Room Over the Kitchen) o spettri di amori perduti e rievocati con nostalgia (The Yellow Curtains); e le case infestate del libro sono luoghi pacifici e crepuscolari, isolati dall’invasione del presente e abitati da ombre discrete (The Green Scarf). La paura, le forze malefiche sono fuori: ma chi incontra un fantasma, come il signor Everton di Playmates - da cui è tratto il brano riportato sopra - prova, anzitutto, consolazione, perché se c’è un fantasma significa che “non c’è morte”. Sarà un caso, ma Burrage era cattolico.
Oggi Burrage è ricordato soprattutto per le sue storie di fantasmi, ma in vita era un vero e proprio poligrafo; e aveva combattuto nella Grande Guerra – evento che segna, fra le altre cose, il picco e l’inizio del declino della ghost story all’inglese (uno dei motivi per cui antologie come Some Ghost Stories hanno un certo retrogusto di postumo, come omaggi tardivi a qualcosa che già sta declinando). Nella raccolta, la guerra appare solo in un racconto: eloquentemente collocato, però, al centro esatto del libro, e probabilmente il pezzo migliore della raccolta. The Yellow Curtains - col suo contrasto fra il microcosmo campestre della prima parte e lo squallore cittadino della seconda, con la guerra in mezzo a fare da spartiacque – è, anche, un’allegoria perfetta della lacerazione prodotta dal conflitto in una generazione intera: e di come le storie di fantasmi vecchia maniera – prima delle trincee e della mitragliatrice e della Terra di Nessuno - servano, anche, da vettori memoriali, capaci di riportare provvisoriamente in vita un’Inghilterra che non esisterà mai più.
Some Ghost Stories, ovviamente, non è mai stato tradotto in italiano nella sua interezza: l’unico racconto apparso nel nostro paese è Playmates, tradotto come Compagne di giochi nel benemerito Il libro delle storie di fantasmi curato da Roald Dahl (Salani, Firenze 1990) e come Compagne di gioco in Blackout. Nel buio del terrore curato da Donatella Ziliotto nel 1994 (Mondadori, Milano: ma il libro era già apparso nel 1989). L’opera omnia del Burrage ‘soprannaturale’ è stata pubblicata negli anni Novanta dalla Ash-Tree Press, in quattro volumi in edizione limitata curati da Jack Adrian: le quotazioni sul mercato dell’usato sono impraticabili, ma i quattro tomi sono ora, fortunatamente, disponibili come ebook dal sito della casa editrice (Some Ghost Stories è incluso nel secondo volume). Resta inteso, tuttavia, che il cultore cercherà di procacciarsi l’edizione originale del 1927, non foss’altro che per godere della discreta ed elegantissima rilegatura: una copia in buone condizioni parte dai 300 dollari, chiaramente senza sovraccoperta (in quel caso il prezzo può raddoppiare).
A.M. Burrage, Some Ghost Stories, Cecil Palmer, London 1927.