Attualità

Planète/Pianeta

Mercoledì, 11 Settembre 2019

La rivista Planète/Pianeta esce in edizione italiana nel marzo/aprile del 1964. Planète (The Planet) era una rivista francese di realismo fantastico creata da Jacques Bergier e Louis Pauwels. Funzionò dal 1961 al 1972 (in Francia).

Il primo numero dell'edizione italiana (stampata a Torino in via Carlo Capelli 93) si apre con un saggio suggestivo di Angelo Magliano intitolato Il sentimento del fantastico dove – da subito – il sincretismo è di casa: si parla di mondo nucleare, planetario e di una nuova civiltà moderna che riscopre il bisogno di aprirsi a un fantastico che coniuga con originalità visioni ancestrali, taumaturghi e una scienza esoterica al servizio di un capitalismo interstellare! Fotografie in bianco e nero e una impaginazione curata, da rivista per le librerie, conferiscono un'aura cosmologica e universitaria al tutto. Pauwels & Bergier pubblicano subito dopo un estratto dal loro libro più famoso, Il mattino dei maghi, e discettano sui movimenti parascientifici del '900 e sull'esoterismo nazista, espressione di un mondo magico contrapposto al mondo umanista giudaico-cristiano. Il solo Pauwels prova poi a tracciare una definizione della rivista nel pezzo Qu'est-ce que Planète? spiegando l'interesse per fatti di cui i giornali e le riviste di vasta diffusione non parlano. Subito il progetto sembra indirizzarsi verso un nucleo ramificato e stratificato di persone attratte dalla storia invisibile della civiltà contemporanea, con aperture vertiginose verso civiltà scomparse, mondi futuri e aperture verso la scienza. Ecco allora l'articolo di Aimé Michel sulla “fine della civiltà del villaggio” o l'indagine sociologica di Jacques Mousseau sul problema del tempo libero, la progressiva riduzione degli orari lavorativi e la conseguente necessità di riorganizzare l'ozio in un mondo in perenne trasformazione. Quasi sembra di avvertire l'eco dei veicoli rombanti di tanta commedia italiana di allora… Arthur C. Clarke traccia una sua tabella del futuro, prevedendo lo sbarco sulla luna nel 1970, l'atterraggio su altri pianeti nel 1980, la vita artificiale e l'immortalità per il 2100. Dino Buzzati dà il suo contributo col racconto La lezione del 1980. Jacques Bergier si occupa invece del chimico fiorentino Piccardi, luminare d'una chimica cosmica che ricerca oscure forze stellari nelle reazioni chimiche e fisiche che regolano la vita sul pianeta Terra. Il primo numero sta quasi finendo e orizzonti infiniti sembrano aprirsi pagina dopo pagina, presagendo un sinistro sincretismo intellettuale di cui parla Umberto Eco in un folgorante articolo del 1963 dedicato alla rivista. Il tutto insieme della rivista (la mescolanza di un materiale curioso e pieno di immaginazione) sembra dirci che tutto è possibile e, di conseguenza, che tutto è falso. Tuttavia Planète è una sorta di affascinante nuova Enciclopedia del fantastico, un terreno fertile per coltivare quell'Italia lunare di cui parla Fabio Camilletti in un densissimo saggio dedicato al gotico italiano degli anni ’60 e ’70.

Il numero 2 esce nel maggio/giugno del ’64 e continua a proporre articoli vari che spaziano dall’antropologia, filosofia e chimica alchimistica. Un pionieristico articolo di Jacques Bergier è dedicato alla figura letteraria di Lovecraft, a seguire la traduzione in italiano del racconto inedito Il tempio.

Il numero 3 esce nel luglio/agosto ’64: Louis Pauwels cerca ancora di chiarire cosa sia Planète e di indicare la strada da percorrere (guardare con occhi nuovi al reale, una mentalità planetaria, un nuovo tipo di fantastico, ecc…). Seguono articoli di approfondimento su Carl Gustav Jung, lo zen, racconti di Stanley Ellin, Fredric Brown e un’inchiesta sui figli della prosperità della nuova modernità occidentale. Leggo e non posso fare a meno di pensare che mentre Planète è in edicola siamo nel pieno del tintinnio delle sciabole dell’estate del ’64, con l’inquietudine crescente del Presidente della Repubblica sassarese Segni, uomo ossessionato dal rinvigorire delle sinistre italiane. L’assassinio di Kennedy aleggia su di lui come uno spettro, tanto da voler potenziare l’apparato di sicurezza intorno alla sua persona. Il Presidente si sente accerchiato dalle ombre dei rossi, sorta di vampiri provenienti da un altro pianeta, così predispone impianti occulti di registrazione nel suo studio al Quirinale. Inoltre segue con inquietudine crescente gli scioperi e le manifestazioni sindacali sempre più frequenti e violente. Tutto sembra indicargli una situazione di particolare gravità. Una recente visita in Francia (nel febbraio precedente) lo impressiona sull’efficienza antistalinista delle truppe d’oltralpe. Da quella visita in avanti Segni sembra affidarsi esclusivamente al generale dei carabinieri de Lorenzo, allontanando da sé chiunque fosse considerato troppo di sinistra. Segni, e con lui la CIA, è preoccupato dei continui cedimenti a sinistra del governo Moro, così, mentre nella primavera-estate il primo governo di centro sinistra della DC morotea con i socialisti di Nenni ansima, Segni sorveglia la redazione di un famigerato Piano Solo affidato esclusivamente ai Carabinieri e che prevedeva occupazione delle zone vitali della politica e il rastrellamento degli agitatori sociali. Ecco il tintinnio delle sciabole nei cieli d’Italia. Sempre nell’estate, dopo uno scontro sui finanziamenti alle scuole private, il governo entra in crisi e il 26 giugno Moro formalizza la crisi al Consiglio dei Ministri. Una palude politica sembra avvolgere le consultazioni, e Segni è più che mai inquieto e angosciato. Le pressioni su Moro sono fortissime. Il 23 luglio si arriverà a un “Moro 2” con un ammorbidimento delle richieste socialiste e una normalizzazione del quadro politico e così il Piano Solo potrà finire tra i ferrivecchi, lasciando la sgradevole sensazione di un mondo antidemocratico e fascista ancora nascosto tra parte della borghesia italiana e nelle istituzioni politiche. Di lì a poco un grave malore metterà Segni fuori combattimento e anche sul generale de Lorenzo calerà un sipario fatto di inchieste, processi e vergogna, fino alla tumulazione occulta avvenuta il 26 aprile del 1973…

Saltiamo al numero 7 dell’aprile/maggio 1965. Louis Pauwels, galvanizzato dall’uscita dei primi numeri di Pianeta nell’edizione spagnola, continua a proporre editoriali in cui dice tutto e non dice nulla, proponendo l’ennesima non-definizione della rivista. Planète è una schiera spirituale di scienziati, letterati, poeti e chi più ne ha più ne metta, Planète non possiede rivelazioni, non rientra in alcuna categoria, non costituisce una dottrina. Eppure è difficile non leggere una ideologia ben precisa nella zuppa di articoli che si sommano numero dopo numero. La fede cieca nel progresso (con le risibili tabelle di marcia verso una società di cosmonauti immortali) e le idee di una accelerazione sociale, un cambiamento alla portata di tutti, sembrano scontrarsi con la società italiana degli anni ’60, tutta un ribollire di colpi di Stato mancati, bombe, processi insabbiati, rigurgiti fascisti e uno statuto dei lavoratori ancora da portare a casa. Il futuro non avrebbe riservato di meglio: il tanto osannato 2000 non somiglierà alle previsioni intellettuali di Arthur C. Clarke, scomposto invece nell’iperlavoro totalizzante delle grandi aziende della distribuzione e poi nella colonizzazione dell’immaginario collettivo portata avanti dalle grandi aziende capitalistiche della società digitale. Comunque il numero è zeppo di roba: psicologia, zoologia, zoopsicologia, biologia, sociologia, racconti di Cortazar, ancora Lovecraft, un lungo articolo di Jacques Mousseau su Aleister Crowley, o un’inchiesta sul ruolo della pubblicità all’interno delle democrazie moderne.

Denso il numero 8 del giugno/agosto del 1965. Sono anni di immobilismo politico, di un ormai sterile progetto riformatore del centro-sinistra, affidato al secondo e terzo governo Moro (1964-65). Pochi mesi ci separano dal licenziamento di 150 operai del gruppo Imi-Fiat e da uno sciopero generale che ha visto coinvolti gruppi di studenti. Nell’aprile del 1965, proprio a Torino, la polizia interviene per sgombrare le sale della vecchia Università subalpina. Altri segnali e agitazioni nei mesi successivi sembrano contraccolpi di un fallimento riformatore da cui il paese non saprà riprendersi. In quegli anni di sviluppo senza guida e di miopia collettiva, in attesa dell’autunno caldo e della radicalità di Piazza Fontana, Planète ribadisce come sempre una fede incrollabile nel futuro. Nel numero 8 di quell’estate del ’65 è formidabile la serie di articoli raccolti sotto il titolo Lui e lei nel terzo millennio; sembra quasi di trovarsi dentro a certa narrativa del Gruppo ’63, o nei meandri gotico/modernisti di Bernardino Zapponi. Un giovane Furio Colombo traccia la sua zona d’osservazione su uno sviluppo tecnologico che modificherà i rapporti umani e le gerarchie-guida dei valori comuni. Uomini e donne sempre più giovani, liberi e intercambiabili, simili e senza limiti imposti da vecchie regole morali o proibizioni arcaiche. Un’armonia dal sapore vagamente new age sembra illuminare una nuova vita comunitaria. Un articolo a seguire di Bruno Munari si perde nel labirinto dei segni e dei simboli che circondano la società italiana del boom; il designer prova ad immaginarne di nuovi, mescolandoli tra loro, come in una sorta di neo-lingua internazionale da adottare per il nuovo futuro planetario. Marco Zanuso invece si concentra sulle megastrutture abitative del XXI secolo, cellule abitative intelligenti, grappoli pannocchie verticali che sembrano uscite da qualche utopia architettonica. E ancora la centralità dell’automobile del 2000, immaginata con motori termici e in nuclei urbani in cui il problema del traffico è stato risolto. Un’intervista alquanto sinistra allo psicologo Cesare Musatti, discetta sul valore dei complessi e dei tabù, indicando nella nuova condizione della donna (parità giuridica, mascolinizzazione), una accentuazione dell’omosessualità maschile, indicata dall’ordinario dell’Università di Milano come una anormalità preoccupante. Planète sembra insomma strizzare l’occhio a molte cose differenti, a un futuro da cartolina simile a certi scenari da romanzo di fantascienza e a posizioni conservatrici e cripto-fasciste.

Come dicevo poche righe sopra, il futuro immaginato da Planète ci appare oggi come una utopia illusoria, un mondo della tecnica e delle macchine in cui la dottrina marxista e una visione critica del reale è sostituita da una sorta di nuovo positivismo culturale. Non è un caso che nelle ultime pagine di questo numero, la redazione ospita una recensione critica nei confronti dell’ultimo film di Godard, Alphaville, colpevole (a loro giudizio) di una caricatura di un mondo moderno in cui la tecnica è corresponsabile di crimini totalitari. Per la redazione la pseudo rivolta godardiana “testimonia una malafede, una mancanza di spirito critico ed una falsa ingenuità ferocemente egoista. Alphaville, ricorda le diatribe del signor Prud’homme contro la macchina a vapore: si attacca l’oggetto scientifico per conservare il monopolio del comodo intellettuale”. E già. Peccato che la metamorfosi dell’umanità paventata da Louis Pauwels & C. abbia preso la forma, negli anni 2000, di un mondo assai somigliante all’Alphaville di Godard. Una modernità attraversata da correnti neoliberiste che hanno smantellato il lavoro così come lo si era concepito fino agli anni ’80 del secolo scorso; un nuovo lavoro flessibile in mano ai lager della grande distribuzione – un nuovo tipo di classe operaia fluidificata e dispersa tra infinite tipologie di forme contrattuali (part-time, contratti di formazione, contratti a termine, lavori in affitto), caratterizzate da una flessibilità a vita. Un nuovo tipo di lavoratore, per nulla liberato da tabù e complessi, viene spremuto come un limone, sfruttato per uno stipendio bassissimo e frammentato da uno stress altissimo che gli nega qualunque certezza lavorativa. L’ostentata indifferenza delle politiche governative (con gravissime colpe delle sinistre, in particolare quelle degli ultimi vent’anni, per non parlare poi del riformismo renziano) ha permesso di arrivare a lavorare sette giorni su sette, sotto condizioni di costante minaccia (di perdere il lavoro e ritrovarsi, magari oltre una certa soglia di età, incapaci di trovarne un altro e poter sopravvivere). Il lavoro interinale degli anni 2000 ha consentito alle aziende di eliminare il lavoro stabile (con le sue tutele) e tappare i buchi di una forza-lavoro usa e getta (inquietanti i job on call, i lavori intermittenti, a chiamata, forma ultraflessibile che non prevede diritti, ferie, malattia). La flessibilità del tempo lavorativo si è poi unita a una reperibilità totale, con conseguenze gravissime sulla nostra salute. Questi mutamenti allucinanti (ignorati dalla politica) hanno prodotto negli ultimi vent’anni una forma di sofferenza psicologica e identitaria che sembra aver cancellato le conquiste sindacali ottenute fino al 1985. Da questo scenario di precarizzazione senza fine siamo arrivati (quasi senza accorgercene, come in una mutazione distratta, non lontana da certe distopie di Giorgio De Maria) alle derive dell’impero virtuale, alla magia occulta degli smartphone di Google, Facebook, Amazon, eredi del capitalismo industriale dei vari Krupp, Thyssen, Farben. Oggi siamo alle soglie di un addormentamento collettivo, vicini a uno stato ipnagogico che sembra cortocircuitare con le parole sconfinate e astratte del Furio Colombo di quel Planète del 1965, aprendo nuovi e paurosi significati: “i blocchi ideologici sfumano, non si notano leaders, l’impressione è che la folla sia sboccata in uno spiazzo vastissimo di cui non si vedono bene i contorni e i limiti. Sulla folla sono puntate telecamere e la folla risponde agitando ogni tanto le mani”.

Saltiamo avanti al fatidico 1968.

Planète numero 20 del gennaio/febbraio 1968. Un numero formidabile, un condensato stupefacente di previsioni, inquietanti profezie, approfondimenti letterari. Un numero dedicato alle nuove visioni scientifiche, spirituali, teologiche e pedagogiche di quel periodo. Si comincia con un pezzo fantastico di Jacques Mousseau sull’”Arte psichedelica americana”, coi variopinti artisti barbuti e capelluti del quartiere di Haight Ashbury. Mousseau ci spiega per bene come l’arte psichedelica di Wilson, Victor Moscoso, Rick Griffin, Stanley Mouse e Alton Kelly è un’allucinazione combinatoria di mescalina, LSD, mistica e grafismo novecentesco. Il Dio degli artisti hippy è il colore, colore che imbratta i quadri-manifesti di questi autori, tanto che è un bellissimo collage psichedelico di Moscoso con Theda Bara a firmare la copertina della rivista. Si prosegue con un pezzo di Alain Hervé dai tratti sinistri: parla dei nuovi sviluppi della pedagogia, macchine intelligenti per insegnare. Come sempre il pezzo è un concentrato di ottimismo futuristico e distopie in salsa lager. Hervé sproloquia entusiasta su macchine calcolatori capaci di sostituire (in parte) gli insegnanti, incapaci di ribaltare il disastroso rendimento (tabelle alla mano) degli studenti francese. Così, mentre eterogenei movimenti di massa si preparavano nei paesi occidentali a contestare radicalmente i pregiudizi socio-politici dei loro governi, un gruppo di ricercatori sogna una scuola a base di test e frammenti di nozioni che sbaraglino i vecchi e barbosi programmi. Così, se negli Stati Uniti si lotterà contro la segregazione razziale e il maccartismo, in Europa si occuperanno scuole e Università, in una mescolanza di opportunismo e demagogia. Planète prevedeva nuovi metodi pedagogici affidati a macchine intelligenti e a un sapere ridotto in pillole. Si arriva a prevedere l’avvento di una rete globale di calcolatori, così da permettere agli studenti di ogni parte del mondo di corrispondersi per mezzo di tastiere telex. Si apriranno licei audiovisivi, eresie moderniste che prevedono la possibilità della televisione nell’insegnamento. Dopo queste nuove visioni pedagogiche, le nuove visioni della spiritualità, con un pezzo di André Brissaud sulle idee del teologo Paul Tillich, fautore di una sintesi (e le sintesi, i riassunti, le mescolanze, piacciono molto a Planète e alla schiera dei suoi accoliti…) tra il protestantesimo, la mistica orientale e il cristianesimo medievale. Tillich cerca di rispondere all’uomo moderno e alla sutura tra religione e cultura contemporanea, suggerendo l’idea di un linguaggio religioso in cui Dio diventa un simbolo religioso ed esistenziale, un orientamento verso l’infinito, l’assoluto, il supremo. Da queste profondità si passa a splendide tavole a colori per illustrare le profondità sottomarine del comandante salgariano Jacques Cousteau. Il pezzo forte arriva con l’articolo di Dominique Arlet su Stonehenge, abisso dell’inconscio collettivo, tempio druidico nella piana dolcemente ondulata di Salisbury, tra il Galles e la Cornovaglia. Il pezzo è magistrale e detta le regole per tutti i Giornali del mistero e i Voyager del futuro, proiettando suggestioni e intuizioni fantarcheologiche alla Peter Kolosimo. Bergier propone un efficace pezzo sulla nuova narrativa anglosassone, concentrandosi sulla rivista di fantascienza speculativa New Worlds e i nuovi autori James Ballard, Roger Zelazny e Thomas Disch. Bergier introduce anche la figura di William Burroughs, scrittore sicuramente interessato al linguaggio e, soprattutto al suo modo di espandersi. Non a caso segue un pezzo sul pensiero di Mac Luhan, messia della sociologia americana che preferisce la televisione al libro, oggetto legato ad una visione del mondo superata e artificiosa, troppo astratta. Serpeggia in tutto il numero una propensione alla praticità, il desiderio di una società efficiente e moderna, dove la cultura e l’impegno intellettuale è facilmente calcolabile e prevedibile e dove si privilegia una società frammentaria e stratificata, efficiente e in piena mutazione psichica, una mutazione avvertita anche nell’intervista finale a Fellini, nel pieno di un travaglio creativo che lo porterà dall’incompiuto Mastorna al viaggio gotico di Tre passi nel delirio, o alla prima – straordinaria - forma compiuta di cinema incompiuto de Block notes di un regista (1969).

Il numero 21 è del marzo/aprile. È il marzo di Valle Giulia, dello scontro senza precedenti tra studenti e forze dell’ordine, delle invettive di Pasolini contro gli studenti, visti come figli di papà, piccoli borghesi cattivi, ricattatori, sfacciati.

Ad aprile un gruppo di studenti prese d’assalto i locali del Corriere della Sera. L'Italia diviene un contenitore stratificato di realtà differenti: le spopolate campagne meridionali da una parte e la vita comunitaria e amara dei meridionali accatastati al Nord, confinati in ghetti di cemento, civiltà condominiali immortalate negli Ektachrome delle cartoline nei mercatini delle pulci. In tutto questo il numero 21 di Planète/Pianeta è dedicato ai molti NO di quella società in subbuglio. Ecco allora un pezzo di Jacques Verne sui 400 scenari del futuro 2000, descritti dal pensatore planetario Hermann Kahn, sorta di vademecum da allegare come extra alla collana Urania di Mondadori con le copertine metafisiche di Karel Thole; tra le profezie le economie post-industriali del tempo libero (azzeccata, visto che la società post-industriale italiana degli anni ’70 vedrà una crescita esponenziale del settore dei servizi, del lavoro impiegatizio e professionale e della tecnocrazia, comprimendo sempre più lo spazio dedicato al lavoro manuale e industriale), il controllo del clima (cannata in pieno) e la vittoria assoluta di metodi di planning familiare per contenere le nascite (cannata), il tutto affidato a un governo mondiale (la globalizzazione? Il Capitalismo finanziario di questi anni?). Il pezzo, nella chiusa, prevede la fine del concetto stesso di Nazione, vedendo nelle sommosse degli anni ’60 un conflitto crescente tra élites e masse, sommosse risolvibili con l’idea di un nuovo ordine mondiale, una società localizzata e frammentata al medesimo tempo, una criptocrazia marxista/capitalista/autarchica/sovranista antitesi e sintesi di qualunque ideologia, capace di regalare a un numero sempre più selezionato di abitanti nuove droghe, nuove religioni, nuovi piaceri proibiti. Segue un articolo sui NO dei cattolici, un’inchiesta dall’interno della riforma Ecumenica. Il mondo cambia. O meglio no. Il mondo è pur sempre quello. Cambiano gli uomini. Altro pezzo sulla gioventù che dice NO. Altra inchiesta di Mousseau all’interno della comunità hippy americana, alla ricerca di un mondo spirituale appena al di là della civilizzazione americana dell’automobile e del successo sfrenato. Hippyland contro poliziotti, educatori, politici, borghesi tutti. Peccato poi che da quella generazione siano venuti fuori gli uomini che hanno fabbricato le multinazionali degli anni ’80 e ’90, i coloni di un nuovo (e più intensivo) sfruttamento del lavoro umano. Questa generazione ascetica di hippy è passata dall’acido e LSD agli odiosi planning aziendali. Immagini suggestive contrappongono predicatori da strada e poeti (una foto di Ginsberg che legge delle poesie a degli studenti raccolti all’aperto) ai primi cristiani. Un numero fecondo questo 21. C’è ancora spazio, tra le altre cose, a un pezzo del sempre interessante Bergier sulla nuova alba dell’alchimia, vista come il residuo di una scienza perduta appartenuta ad antiche civiltà pre-umane di cui Newton e pochi altri (i Rosacroce, certo, ci sono anche loro) sono gli ultimi eredi. Bergier frulla pietra filosofale, radioattività e rosacroce gettando quasi i semi della nebulosa del Pendolo di Eco (1989).

E così, mentre l'Italia rimane col naso dentro la TV in bianco e nero per spiare in luglio i primi incerti passi dell’uomo sulla luna (ci sarà andato poi davvero?) o aspetta di precipitare dentro il cratere dicembrino di Piazza Fontana, ecco che Pianeta affronta il 1969 a modo suo, almanaccando nel numero 29 del luglio/agosto di quell'anno di carità e violenza, feste della mamma, scienza contro religione, nuove catastrofiche previsioni del guru del momento MC Luhan, indagini sul triangolo delle Bermuda e un folgorante articolo su James Pike, vescovo episcopale che ha creato una nuova religione, una Chiesa fondata sulla comunicazione diretta coi defunti, ennesima deriva spirituale in una California piena di hippies e miliardari del Texas pronti a finanziare i mille volti di un'Era dell'Acquario necrosofica e propagandistica.

Anche i mesi di settembre/ottobre e novembre/dicembre di quel 1969 si consumano inseguendo studi sul sonno, bombe genetiche, pulsar, possono sognare i morti?, gli aldilà di Delvaux e saggi-reportages sulle nuove sette spiritualiste americane, Christian Science di profeti che fondono le religioni orientali con Allah, alla ricerca di un’ennesima sintesi delle conoscenze, revival ideologico di un rinascimento delle spirito affidato a predicatori dall'oscuro passato, ex drogati, ex prostitute, e ancora affaristi e pubblicitari. L’utopismo di Pianete appare sempre più come una nebulosa di predicazioni e utopie confuse e fumose che significano tutto per non significare nulla. Ma la belle époque dei '60 e la passione per l'occulto sono finiti e il decennio successivo appare sotto auspici differenti. I selvaggi ’70 giustappongono con violenza istanze solidaristiche con arroccamenti conservatori, rinnovamento ed emarginazione. Giovanni Leone, Amintore Fanfani, Rumor, Andreotti, la democrazia dei partiti entra in crisi e si dimostra sempre più incapace di intercettare la domanda di cambiamento di una società tumultuosa, attraversata da sotterranei impulsi al rifiuto delle regole collettive. L'introduzione del divorzio, lo Statuto dei lavoratori, l'obiezione di coscienza, l'attuazione delle regioni, la legge Basaglia non bastano per non imboccare il tunnel del declino perenne di questo paese. Dal 1973 al 1975 tutto sembra già sul punto di crollare: inflazione galoppante, crollo degli investimenti, diminuzione del reddito nazionale e del prodotto interno lordo. L'Amarcord di Fellini diviene un amarcord collettivo di tutte le utopie di illimitato progresso. La classe operai si radicalizza e s'avvia anch'essa al declino, in un allucinato balbutire di sommosse universitarie, nuovi gruppi clandestini, formazioni extraparlamentari e climi alla Cile di Pinochet. Il 1974 è un anno chiave per la metafora pasoliniana del “Palazzo”: poteri occulti, ultime parabole golpiste, la loggia P2, Sindona, il rafforzamento della mafia, una crisi delle istituzioni tutte e del sistema partitico arcaico e corrotto. Ombre orribili di collusione con le peggiori stragi degli ultimi anni, da Piazza Fontana a Piazza della Loggia a Brescia. Pasolini fa in tempo ad annotare le maschere funebri dei potenti democristiani, vecchi uomini ossessivamente uguali a se stessi. Fuori dal palazzo è un perdurare di mobilitazioni di piazza, servizi d'ordine e scontri. Ultime schegge di un mondo avvitato su di sé, in cruento disfacimento (come immaginato, con inquietante premonizione da Elio Petri nel suo monumentale Todo modo, 1976). Al PC non resta che scendere a un compromesso con la DC e aspettare la morte di Moro e un disastro finale, una catastrofe che ingoierà tutte le tensioni creative del '77 e le utopie del '68: dopo gli ultimi fuochi del terrorismo rosso e neofascista (la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 segna un punto di non ritorno), ciò che rimane è un'evasione fiscale galoppante, la sperequazione, il debito pubblico inarginabile e un crescente disinteresse per qualunque ideologia, uno spregio delle regole, oltre che uno scollamento sempre più forte tra la politica e la realtà di un paese che ha smarrito una identità collettiva (che forse non ha mai avuto). Mentre si coagulano queste cose, Pianeta arriva al numero 32 del gennaio/febbraio 1970, almanaccando di spionaggio industriale, meditazione e allunaggi. Pezzo forte un articolo di Dominique Desanti sui “Drogati mistici”, un lungo articolo per comprendere i nuovi slanci religiosi del mondo occidentale, dove la droga è all'ordine del giorno, tra misticismo e paradisi artificiali. Raduni oceanici d'ogni razza nella bohème di Los Angeles: cetre, tamburi, flauti, batter di mani, corpi dondolanti e ipnotici che salmodiano monocordi “Hare Krishna – hari hai – hari Rama”, cercando l'estasi dello yoga o la mecca nepalese di Katmandu. Nuove religioni che traboccano di sincretismo in cui rifugiarsi per sfuggire al fallimento della politica e degli slogan. Cosa cercano questi giovani un po' stagionati del lontano '68? Astrologiche premonizioni dell'inconscio? Cercano Dio? O il diavolo? Gruppi politici negri lottano contro la droga mentre strani figli di Freud e del Nepal sfuggono fino all'ultimo al lavoro paterno di integrati e sperimentano combinazioni di coktail e filosofie. Intanto, dal maggio '69, sulle bancarelle di Berkley, in piena contestazione studentesca, fra libri di Mao e Trotzky, gli omini della Christian Science offrono il catechismo per una nuova società in cui il pericolo risiede nel potere nero, fra gli orientali, i portoricani, i messicani. Il clic-clic degli hippies. Comunque Pauwels & Bergier non saranno più nelle edicole quando l'Italia diventerà – per dirla con Arbasino – “un paese onirico, vittima di abbagli metalmeccanici e velleità petrolchimiche.” E oggi? La filosofia di Planète, l'ottimismo fiducioso nella Storia e nelle aperture della scienza, il matin des magiciens e le idee enciclopediche su anticoncezionali, controllo delle nascite e universi paralleli sono tematiche che si ritrovano in un nutrito gruppo di riviste da edicola. Ne ho prese due a caso, Mistero (edita da Fivestore) e una Italia misteriosa (guida ai luoghi misteriosi d'Italia) edita da Zona Franca edizioni: ecco allora tornare l'interesse e la fascinazione per un realismo fantastico che macina di tutto, dai cerchi nel grano, ai disastri di Chernobyl, fino al triangolo delle Bermuda. Tuttavia ho l'impressione che i veri eredi della filosofia mondialista di Planéte siano quelli del Movimento 5 stelle. Di recente leggo un articolo della Stampa (sabato 24 agosto, pagina 7) che riporta una dichiarazione futuristica e totalitaria di Grillo, una sparata che su Planète, negli anni '60, sarebbe stata perfetta. Il guru del movimento telematico lancia una serie di profezie sul suo movimento e sul nostro futuro, invocando ambiente e tecnologie tra le priorità, un orizzonte gretathunberghiano di ambientalismo spinto e sistema globale informatico “che determina la totalità della vita su questo pianeta. Questo è l'ordine naturale delle cose, oggi. Questa è l'atomica e sub-atomica e galattica struttura delle cose. Non esiste l'Italia, non esiste la democrazia. Esistono solo Atlantia, Alphabet, Microsoft, Gp Morgan e Nestlé. Sono queste le nazioni del mondo.” Parole fumose e millenaristiche, una vacua filosofia ottimistica del futuro affidate a una piattaforma Rousseau che promuove una democrazia diretta esercitata da poche migliaia di persone e sul cui algoritmo poco si conosce. Tuttavia queste visioni utopiche del futuro si infrangono contro pochi e sconcertanti dati. Li prendo sempre (da buon piemontese) da La Stampa di lunedì 2 settembre 2019: 599 morti sul lavoro negli ultimi 7 mesi, lavoratori che non hanno tutele contrattuali, né un'assicurazione adeguata, penso soprattutto ai raider su due ruote. Alla base di questa strage la sindrome del burnout, turni pesanti, impegni crescenti legati ai bisogni sempre crescenti dell'economia digitalizzata. E a morire sono lavoratori italiani e extracomunitari, meno al Nord, di più nel Centro e molti nel Sud. Sarebbe interessante andare a sentire Pauwels e Bergier ora. Dove sono finiti? Nella tomba, buon per loro.

Pianeta cesserà (almeno su questo piano dell'esistenza) di esistere nel 1974. Comunque, saltando di palo in frasca, molto bello il numero 45 del marzo/aprile 1972 (Calabresi sarebbe stato ammazzato poco dopo, freddato da oscuri mandanti - identificati con parecchie forzature - nell'ambiente di Lotta Continua): articoli sull'esoeditoria in Italia, sulla pseudo-scienza dell'ufologia, sul cinema “underground” americano, la psicocinesi a Mosca e un pezzo allucinato e colto di Sebastiano Vassalli sui Viaggi interstellari, in realtà una scusa per parlare di spazio/tempo, velocità della luce, pentadimensioni e antropomorfia dell'Universo, con gli astri visti come animali fin nelle dottrine antiche di Omero, Seneca, Laerzio, fino a Campanella e Paracelso, o ancora Nicolò Cusano e l'idea che l'Universo ha la forma umana e che il subcosciente che ci governa ha la forma di entità cosmiche, ormoni cubici che servono a mantenere in equilibrio il nostro corpo. Alla fine si arriva alla teoria dell'eterno ritorno, perché il cosmo è fatto di archetipi e la realtà è tale solo se si ripete, solo se ha dei paradigmi. Ecco dunque che tutto nell'uomo e nelle stelle tende a ripetersi, perché l'Universo, lo diceva Giordano Bruno, non è totalmente infinito e perciò di nuovo nasceremo, di nuovo crescerà il nostro scheletro, di nuovo arriverà questa pagina digitale di Mattatoio n.5 ai vostri occhi uguali, di nuovo percorreremo tutte le ore fino a quella incredibile della morte che tutto nell'uomo e nelle stelle tende a ripetersi, perché l'Universo, lo diceva Giordano Bruno, non è totalmente infinito e perciò di nuovo nasceremo, di nuovo crescerà il nostro scheletro, di nuovo arriverà questa pagina digitale ai vostri occhi uguali, di nuovo percorreremo tutte le ore fino a quella incredibile della morte.