Horror

Lunatici e licantropi

Martedì, 07 Gennaio 2014

Ogni epoca, scriveva Walter Benjamin, sogna la successiva. È una "prefigurazione fantastica" che solo uno sguardo postumo può realmente cogliere, come una "lastra fotosensibile" le cui immagini impresse saranno rivelate solo dagli acidi, più potenti, del futuro (1). Il numero 5 di Horror, dell'aprile 1970, è una di quelle lastre, sorta di monade tesa tra quel che è stato e l'adesso, e che oggi possiamo guardare con nostalgia, curiosità, tenerezza: ma soprattutto come un esempio di che straordinario laboratorio di idee fu quella rivista, e di come essa abbia gettato i semi di molte esperienze germinate in seguito.

Apriamo la pagina della posta del "dottor Horror". Pier Carpi (la vis polemica è la sua, le opinioni politiche pure) risponde a un lettore da Lido di Ostia che ha inviato un racconto: "Sì, minimamente ci interessa [...]. Ma minimamente, appunto. È un invito, quindi, a mandarci qualcosa d'altro". Il lettore si chiama Giulio Leoni: l'autore dei gialli di Dante Alighieri aveva diciannove anni. Un altro lettore si scandalizza per la frettolosa politicizzazione del Sanremo di quell'anno: ha vinto Celentano, con una canzone che si fa beffe degli scioperi a oltranza (a pochi mesi dall'autunno caldo, forse non una grande idea); Sergio Endrigo è arrivato terzo, con un pezzo ecologista. Sono passati appena tre anni dal suicidio di Luigi Tenco, e da quel trauma la canzone d'autore italiana ha tratto ispirazione per la costruzione di una propria identità antagonistica rispetto alla musica di consumo (2); ma è "una ben strana sinistra", commenta Carpi, quella che bolla Celentano come un fascista, perché Chi non lavora non fa l'amore sarà "tutt'al più una cretinata, ma è almeno popolare", mentre L'Arca di Noè "è un insulto al buon gusto", e se la sinistra sta con Endrigo e Iva Zanicchi (!) "la destra sta diventando una cosa incredibilmente seria e progressista".

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La pagina della posta su Horror n. 5.

Nella rubrica sui fumetti in uscita si dichiara che "L'Editoriale Corno ha annunciato l'imminente uscita dell'edizione italiana di Spiderman e Daredevil", specificando che si tratta di "personaggi che hanno ottenuto un grandissimo successo nei colleges [sic] e negli ambienti studenteschi statunitensi". La storia a fumetti L'importanza di essere Felice; di Alfredo Castelli e Sergio Tuis, getta un seme narrativo che sarà sviluppato solo, più di vent'anni dopo, in un episodio di Martin Mystère. L'intervista del mese coi 'Maghi del terrore', infine, a cura del ventiduenne Luigi Cozzi, menziona i due "specialist[i] italian[i] del brivido", Mario Bava e Riccardo Freda; e l'impressione anacronistica che manchi un terzo nome s'acquieta sfogliando i numeri successivi, quando – cinque mesi dopo, nel numero 10 – Cozzi intervista un regista che è "quasi un ragazzo", "la sorprendente rivelazione di quel film da infarto, L'uccello dalle piume di cristallo".

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Alfredo Castelli - Sergio Tuis, L'importanza di essere felice.

Il transito dal gotico italiano al giallo à la Dario Argento; i supereroi Marvel, ancora sconosciuti in Italia; la tensione politica onnipervasiva nell'anno che segue all'autunno 1969; un'idea, infine, di fumetto di genere a metà fra BD francese d'autore, fantastico sudamericano, serialità americana e la tradizione di Tex, e che già prepara la strada alla rivoluzione rappresentata, negli anni '80, da Martin Mystère e Dylan Dog – nel riflettere tutti questi elementi, come un prisma, Horror è veramente una "traccia" in senso benjaminiano, se per tracce intendiamo "vestigia, rifiuti della storia, contromotivi o controritmi, 'cadute' o 'irruzioni', sintomi o malesseri, sincopi o anacronismi nella continuità dei 'fatti del passato'" (3). L'esperimento presto concluso della rivista, letto alla luce di un presente che conosce ciò che è accaduto dopo – gli anni di piombo, i fumetti Bonelli, l'età d'oro del cinema italiano di genere e di quello horror in particolare, il riflusso esoterico di fine anni '70 e la reinvenzione del fantastico italiano nei decenni successivi – genera una tensione attraverso la quale, per dirla sempre con Benjamin, "Non è che il passato getti la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato", ma forma un'"immagine [...] in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l'adesso in una costellazione" (4). In questa costellazione, il fantastico italiano e il problema dell'horror – quello che fu e che non poteva non essere, ma anche quello che avrebbe potuto diventare e non fu mai; le potenzialità, le fratture, le deviazioni – appare intersecarsi, sotterraneamente, con un quadro più ampio, che è politico, epistemologico, sociale; invitando a nuove forme di periodizzazione, e svelandosi, piuttosto che una mera provincia della cultura nazionale, come uno dei laboratori segreti in cui tralucono, in filigrana, tensioni profonde.

Il numero 5 di Horror inaugura la rubrica "Al di là" a cura di Ornella Volta. Il primo pezzo s'intitola "Per un'Italia lunare"', ed è – di fatto – un manifesto. Volta elenca i precursori del fantastico italiano – Leopardi, Praga, Campana – e, fra i contemporanei, cita Landolfi, Praz, Zolla, Fellini; da un sogno di quest'ultimo prende le mosse per ampliare l'opposizione metaforica sole-luna, che si amplifica in un auspicio:

A causa di qualche residuo dell'Inquisizione e soprattutto della propaganda degli uffici turistici, che mette tendenziosamente l'accento su un'Italia terra del sole, si è potuto per qualche tempo dimenticare che il culto lunare fa parte – almeno quanto quello solare – delle tradizioni di un popolo di origini agricole come il nostro. Non è però lontano il giorno – anzi la notte – in cui i lunatici e i licantropi di casa nostra non avranno più bisogno di mascherare i loro luoghi di incontro con crittogrammi [...] E nemmeno avranno l'impressione di tradire un segreto nazionale rivelando l'oggetto della loro passione [...]

Davvero, Volta sta mettendo il dito nella piaga. Non è difficile riconoscere in quei culti lunari e agresti i falò e la luna di Cesare Pavese, e quelle tracce sotterraneamente mitiche da lui scandagliate, fra la fine degli anni '40 e i primi anni '50, nelle campagne italiane (5). Nel 1947, nella presentazione ai Dialoghi con Leucò, Pavese stesso metteva in discussione la propria immagine pubblica di "testardo narratore realista", invocando per sé "la sfera mitica e il culto dei morti" (6). Era un crinale rischioso, nell'Italia di quegli anni e non solo, mentre Pavese e De Martino davano vita – presso una diffidente Einaudi – a una serie di "Studi religiosi, etnologici e psicologici", meglio nota come "Collana viola". La scelta di autori da presentare – Jung, Kerényi, Frobenius, Eliade – flirtava con correnti di pensiero non propriamente affini all'illuminismo virato in chiave materialistico-dialettica della casa editrice, e lo stesso De Martino – convertitosi al marxismo nel dopoguerra – ribadiva nelle lettere a Pavese la necessità di un'operazione editoriale forte, che per i libri più rischiosi "vaccini dai pericoli e inquadri l'opera nel nostro ambiente culturale"; "La materia stessa della collezione viola", proseguiva, "costituisce un terreno assai fertile per la germinazione di motivi razzistici, esoterici, decadenti, torbidamente romantici, e nel complesso reazionari. Molto spesso le persone che si dedicano a questi studi [...] sono fior di canaglie fasciste" (7). Nella tormentata relazione fra gli italiani e l'irrazionale, Volta vede nella rivista di Gino Sansoni l'opportunità per dare un seguito a esperienze presto abortite come quelle de Il Delatore di Bernardino Zapponi (cinque numeri tra 1965 e 1966) e di Fantazaria (pubblicata dall'editore Alberto Gini fra il 1966 e il 1967), consegnando a una nuova generazione di autori un canone e un programma che eviti i facili schematismi dell'ideologia più ottusa: mescolare paure ctonie, ambientazioni gotiche, riflessioni sull'eros più malato, mentalità d'avanguardia e prospettive politiche. Il tempo, come s'usa dire, le darà ragione: la generazione cresciuta con Dylan Dog – gente che, all'epoca in cui Horror era in edicola, non era nemmeno nata – riconoscerà in quel mix di orrore, romanticismo e utopia il germe più remoto della formula che, anni dopo, avrebbe fatto la fortuna dell'Indagatore dell'Incubo.

Il gioiello di Horror n. 5 è il supplemento Abracadabra, stampato su carta verde penicillina e spillato tra le pagine centrali: contiene Il faro, un abbozzo di Edgar Allan Poe completato da Robert Bloch, con presentazione di Alfredo Castelli e illustrazioni – vere e proprie gemme – di Dino Battaglia. Tra i fumetti, la già menzionata storia di Castelli e Tuis è ancora un capolavoro di grafica e sceneggiatura, non a caso ancora proposta a modello nelle scuole di fumetto (8). Non manca la consueta rubrica del Conte vampirologo, questo mese dedicata alle sirene: con la consueta, elegante erudizione, si salta dalla Lorelei di Heinrich Heine a Ulisse, dalle sirene false fabbricate nell'Ottocento con pezzi di mummia e pesce essiccato all'apparizione di un branco di donne caudate, al largo dell'Isola di Man, nel 1961.

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Illustrazione di Dino Battaglia per Il faro di E.A. Poe, completato da Robert Bloch.

  1. Walter Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di Gianfranco Bonola e Michele Ranchetti, Torino, Einaudi, 1997, p. 82.
  2. Secondo la convincente ricostruzione di Marco Santoro, Effetto Tenco. Genealogia della canzone d’autore, Bologna, Il Mulino, 2010.
  3. Georges Didi-Huberman, ‘L’immagine-malizia. Storia dell’arte e rompicapo del tempo’, in Id., Storia dell’arte e anacronismo delle immagini, Torino, Bollati Boringhieri, 2007, p. 82-145, p. 100.
  4. Benjamin, Sul concetto di storia, p. 117.
  5. Si vedano i saggi raccolti in Cesare Pavese, La letteratura americana e altri saggi, Torino, Einaudi, 1991, pp. 269-333.
  6. Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò, Torino, Einaudi, 1999, p. 3.
  7. Cesare Pavese/Ernesto De Martino, La collana viola. Un capitolo di storia della cultura, a cura di Pietro Angelini, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, p. 152.
  8. Sergio Tuis: fumetti