La Tribuna di Piacenza pubblicò questo romanzo breve nel 1972, sul numero 162 della sua collana da edicola, completando il volume con Ma i fior del prato, altro testo dell’autrice cremonese, definito nella prefazione in puro “stile Simak”.
Roberta Rambelli, all'anagrafe Jole Rambelli, classe 1928, è un nome di primo piano nell’ambito della fantascienza italiana: tra gli autori più prolifici su I romanzi del Cosmo, è stata per circa sette anni curatrice di Galassia, ha curato antologie per vari editori, ha tradotto una enorme mole di libri (tra cui vale la pena ricordare Dio la benedica, Signor Rosewater e Perle ai porci del nostro nume tutlare Kurt Vonnegut Jr), trovando anche il tempo di dedicarsi alla stesura di testi e romanzi più corposi. Curioso notare come probabilmente la Rambelli possa vantare il record femminile di pseudonimi: Rocky Docson, Hunk Hanover, Joe C. Karpatí, Igor Latychev, John Rainbell e Robert Rainbell, oltre a Jole Pollini, che invece è il suo cognome da sposata e che ha utilizzato per le traduzioni1.
La maggior parte delle opere narrative firmate dalla Rambelli si colloca nella fantascienza classica, alle prese con epopee spaziali, guerre planetarie, alieni biforcuti e astronavi, toccando invece solo in pochi casi quelle tematiche di critica sociale e di introspezione sociologica a lei tanto care durante il periodo di "reggenza" della collana Galassia (dal 1962 al 1965)2 e rese ancora più evidenti nella curatela di Fantascienza: guerra sociale? (Silva, 1965), quasi un manifesto più che un'antologia di science fiction. Il Ministero della felicità, probabilmente il suo romanzo più riuscito, si inserisce proprio in questo contesto, riuscendo con un tutto sommato esiguo numero di pagine a realizzare una distopia molto interessante, vuoi perché sviluppata in Pianura Padana, in una città bagnata dal fiume Po, vuoi perché i temi trattati, seppur già utilizzati da altri grandi maestri, rimangono godibili e originali. I riferimenti ad Aldous Huxley (Il mondo nuovo, 1932) e a George Orwell (1984, 1949) non precludono una via personale che la Rambelli ha saputo fare propria.
Siamo nel 1972, l'Italia è reduce da un autentico trentennio di boom economico. Di lì a poco sarebbe arrivata la crisi energetica a sparigliare le carte, ma tutto sommato il sogno tricolore del benessere per tutti sembrava ancora realizzabile. La vigorosa espansione dell’economia fu accompagnata dall'aumento dei posti di lavoro e dal crollo della disoccupazione, sostenendo i consumi e con essi il desiderio di possesso, di emancipazione dalla povertà, del miraggio del benessere per tutti. Su queste chiavi gioca Roberta Rambelli, sulla possibilità di acquistare una spelndida utilitaria pagandola in ottanta comode rate, per sentirsi integrati e in società.
La felicità è uno status obbligatorio, perseguita addirittura da un apposito ministero e sostenuta da massiccie dosi di pubblicità: chi non è felice è un disadattato, da rinchiudere in manicomio. È questa la sorte che tocca al protagonista, Nino, reo di porsi domande, di non sentirsi soddisfatto in un mondo completamente alienato, banalizzato, spersonalizzato, incapace di reggere le discussioni con i suoi simili, tanto da addormentarsi sul luogo di lavoro durante una disquisizione sportiva. È chiaro, Nino avverte l’impellente necessità di ribellarsi; di sostituire, in altre parole, al comodo conformismo generale qualcosa di più pregnante e significativo. Un po' come tutti noi, credo. Proprio per questo non si può non entrare in emaptia con il personaggio principale, anche se talvolta lo si vorrebbe un po' più sveglio, soprattutto sottoporta e con le ragazze...
La Rambelli ha scritto un romanzo tipicamente italiano, che solo un italiano può capire fino in fondo: sindacati, arbitri corrotti, enti parastatali, tentati suicidi, rimborsi spese, donne e motori, c'è tutto quanto basta per un'originale via peninsulare alla distopia sociologica, dove l'italico araldico motto "Volemose bene" viene modificato in "Volemose bene, tutti felici". L'obiettivo va raggiunto a tutti i costi, anche grazie alla medicina e a medici preposti. Sarà proprio un medico aziendale a mandare in crisi il piccolo mondo di Nino e sarà una femme fatale a dargli il colpo del Ko. Povero Nino, povera Italia.
Il Ministero della felicità mi è piaciuto, mi sembra sia evidente, anche se lascia l'amaro in bocca: è forse troppo sintetico e non approfondisce mai i tanti sassi lanciati nello stagno, pervenendo a un finale scontato e che sembra tagliato con l'accetta. Senza voler spoilerare, sarei stato immensamente più felice per un esito diverso diverso ;) Detto questo, è impossibile non apprezzare lo sforzo dell'autrice, capace di darci una rapida e gustosa panoramica dell’Italia futura, portando all’esasperazione aspetti già molto evidenti al giorno d’oggi, e ricavandone effetti di buon divertimento. Interessa comunque sottolineare il suo discorso di fondo, vecchio magari di anni e anni (si vedano ad esempio le acutissime pagine di un Tocqueville sull’America del futuro), ma sempre attuale e urgente: il discorso sull’alienazione umana, sul potere di manipolazione, che i mass-media hanno reso enorme e traboccante3.
- Le italiane e la fantascienza, di Gian Filippo Pizzo, da Future Shock 28
- Ibidem.
- Dalla prefazione a Il Ministero della Felicità, di Roberta Rambelli, La Tribuna, Piacenza 1972