Fantascienza

Le rive di un altro mare

Giovedì, 13 Novembre 2014

Un lettore di fantascienza è per definizione un "nuovista", appassionato del futuro; ma al tempo stesso, per ragioni storiche, un cospicuo sottogruppo dei lettori di fantascienza italiani ha raggiunto e superato la mezza età. Ne consegue un continuo conflitto tra sostenitori del libro digitale e del libro cartaceo, che raggiunge sottigliezze degne delle diatribe tra monofisiti e manichei: Vuoi mettere che con il digitale puoi associare la copertina (digitale) che vuoi? – Sì, ma non sarà mai una copertina dipinta da Karel Thole, anche un po’ ingiallita, non credi?

Senza prendere posizione, vorrei aggiungere un elemento a favore del secondo gruppo: il paratesto. Leggere un Urania del ’68, o del ’72, è come entrare in una macchina del tempo. Non è tanto il così spesso rammentato odore della carta, ecc., ma una serie di componenti secondari del testo: le vignette di Johnny Hart, B.C. e il Mago Wiz, che tanto spopolavano negli anni ’70 e ora sono dimenticate (giustamente: non erano i Peanuts o Calvin e Hobbes. Ma quanto mi piacevano!); gli inserti pubblicitari di saggi come Rapporto da Hanoi - La verità sul Vietnam del Nord, oppure il celeberrimo Come finiremo: I limiti dello sviluppo del Club di Roma; o lanci di narratori dimenticati, come Bigongiari, o Luigi Santucci e il suo Velocifero (cosa sarà stato?); la proposta di un premio per gli abbonati: un incredibile album di figurine di paesi del mondo, «quando l’avrete completato, sarà degno di grandi viaggiatori».

Rinasco, rinasco nel millenovecento settanta, direbbe il poeta!

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Ma la cornice vale perché valorizza il contenuto. Ora, prendiamo questo romanzo. Chad Oliver non è un autore dei più famosi, ma ha una solida formazione da antropologo e ha scritto diversi romanzi, il più apprezzato dei quali è Le spirali del tempo. Ma Le rive di un altro mare (titolo suggestivo anche se evoca il peggior mattone di Claudio Magris) merita una riscoperta. Quanta fantascienza ambientata in Africa avete letto? Qui ci sono ricordi della rivolta Mau Mau, tensioni tra Masai e Kamba, siccità e polvere rossa, poi di colpo piogge interminabili (I bless the rains down in Africa): tanto sentore di Hemingway, e nostalgia del natio Texas, anch’esso ormai travolto dalla modernità, come gli ultimi coloni britannici che guardano con superiorità gli americani appena arrivati.

Eppure è la storia di un primo contatto: con mano sicura e passo graduale, l’autore costruisce una situazione in cui i rapporti tra occidentali, africani, babbuini, e... entità, sono in continua ridefinizione, secondo i diversi valori di queste comunità. Il romanzo non ribolle di azione, ma è ricco di atmosfera creata con pochi, solidi elementi: la presenza dei babbuini; i colori della savana; nessun esotismo. Il mistero è presente ma in maniera sottile, attraverso le luci lontane che il protagonista decide di non investigare anche se lo vorrebbe (finché non vi sarà costretto), oppure una fattoria assediata quasi lovecraftiana.

E perché la cornice è così adatta? Perché, sebbene l’impianto possa ricordare Peste suina di Aldiss (gruppetto di alieni che, forti della loro superiorità tecnologica, fanno i loro comodi), Chad Oliver porta la storia verso un dialogo tra umani e alieni: un dialogo fatto di azioni significative e di pericoloso sacrificio, non di astratte parole. Alla fine non ci sarà stato nemmeno un faccia a faccia diretto tra uomini e alieni, ma si sarà stabilito rispetto reciproco. Nell’abbrivio di questa armonia raggiunta, il cacciatore texano si troverà infine davanti il maschio di zebù, preda agognata dall’inizio del libro, e addirittura lo risparmierà (guadagnandosi il disprezzo della guida locale).

Queste speranze, ora datate quanto B.C., erano davvero caratteristiche di quegli anni: romanzi come questo aprirono la strada a Incontri Ravvicinati. Sì: in fondo ci credevamo, al contatto!

Lo si può verificare prendendo a caso altri romanzi “medi” di quegli anni: per esempio La ragione dei granchi, di Michael Elder, onesto zappatore della fantascientifica zolla, che peraltro infilò tre Urania in un paio d’anni (era uomo di vari interessi: noto attore teatrale, enigmista, ornitologo... è morto qualche mese fa). A prescindere dalla copertina, una delle più trucide realizzate da maestro Thole (quanto avrà contribuito a ricacciare la fs nel suo ghetto di letteratura di serie B?), è un inno alla possibilità di capirsi tra alieni, se si va oltre la facciata, le apparenze, l’aspetto... ed episodi come quello illustrato in copertina!

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Note. Buona, asciutta traduzione della benemerita Beata della Frattina, anche se vorrei capire cos’è una “camiciola” rispetto a una camicia, e si fa un po’ economia di congiuntivi. Perdoniamo termini swahili non tradotti né spiegati, ma «il primo uomo che scoprì che il fuoco nasceva dalla frizione»?! Problemi meccanici nella preistoria? (friction = "attrito").

Simpatici arcaismi: qui spam è ancora la carne in scatola; soprattutto, certi giudizi del protagonista sulla (coraggiosa) moglie ai tempi sarebbero sembrati normali anche a noi, mentre oggi farebbero cadere le braccia: «Le donne danno il meglio di sé nei momenti difficili» va ancora bene, ma «non le avrebbe detto quel che aveva scoperto nella savana finché non fosse passata la notte: in fondo era solo una donna» spiattellato così?!