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Porfiria, di Silvina Ocampo

Lunedì, 24 Ottobre 2016

Dopo 36 mesi di Mattatoio n.5, ci occupiamo finalmente di Sud America, grazie a un racconto di Silvina Ocampo, pubblicato nel 1961 nell’antologia Las invitadas e arrivato in Italia nel 1964, per mano della milanese Todariana Editrice, che ne fece un’edizione autonoma, con presentazione di Rodolfo J. Wilcock. Questa prima edizione è pressoché introvabile, anche se per i più curiosi è possibile recuperare (sempre con difficoltà, lo confesso) il racconto per altre strade, visto che lo si ritrova in appendice a I risvegliati, di Frandal1 e all’antologia pubblicata da Italo Calvino per Einaudi nel 1973, con il titolo di Porfiria. Le tre uscite vedono comunque Livio Bacchi Wilcock come traduttore accreditato, che nel 1974 vinse per questo lavoro il premio IILA (Istituto Italo-Latinoamericano)2.

Moglie di Adolfo Bioy Casares, amica di Jorge Luis Borges e sorella della più celebre Victoria, Silvina Ocampo riveste un ruolo di primo piano in quello straordinario fenomeno letterario che fu la cosiddetta «scuola di Buenos Aires», la fioritura di scrittori di racconti fantastici all’interno dell’ambiente culturale della capitale argentina3. Con Borges e Bioy Casares curò infatti Antología de la literatura fantastica (1940) e Antología poetica argentina (1941). Detto questo, per molto tempo fu considerata un’autentica desaparecida letteraria – a causa della censura militare che impediva di pubblicare letteratura fantastica in Argentina4 – e le informazioni biografiche che la riguardano sono ancor oggi molto frammentarie, anche se tutte convergono sul fatto che Silvina Ocampo sia stata senza dubbio la migliore poetessa vivente in lingua spagnola.

«La vocazione per l’indagine psicologica e morale, la rappresentazione minuziosa d’ambienti, la ricchezza e l’acutezza poetica dei mezzi stilistici»5, come ebbe a scrivere Italo Calvino, sono la la sintesi perfetta del modo di scrivere e reinterpretare la realtà che la Ocampo fece propri, nella stesura di racconti che contengono elementi di mistero, di magia, folklorici per certi tratti, opere che conservano e rispettano la cultura di tutte le componenti della popolazione latinoamericana e in particolare, è bene ricordarlo, della società argentina5, preservando tuttavia sempre gli stilemi del genere fantastico. E questo è importante, per comprendere non solo l’intera bibliografia dell’autrice argentina, ma per cominciare a parlare del Diario di Porfiria Bernal, inquietante racconto che vede protagonista una bambina e l'istitutrice incaricata di curarne l’educazione. L’infanzia è uno dei temi cari alla Ocampo e i fanciulli sono spesso i protagonisti, nel bene e nel male, delle crudeli storie messe nero su bianco dalla sua penna: non sono meri espedienti letterari ma hanno un vero statuto di personaggi, indagati nella loro relazione conflittuale con il mondo adulto.6 A tal proposito, Jorge Luis Borges ebbe a dire che «nei racconti di Silvina Ocampo c’è una peculiarità che ancora non sono riuscito a comprendere: il suo strano amore per una certa crudeltà innocente o obliqua».7

Il diario di Porfiria Bernal è, per certi versi, un testo tragico, onirico e crudele, che narra di una “fantastica” trasformazione. Antonia Fielding, inglese trentenne dai capelli rossi, nel 1930 si trova in Argentina quando le viene affidata Porfiria, una bambina apparentemente timida, la cui vera essenza si palesa per mezzo di un diario personale, nel quale prende vita sotto forma di parole il demone interiore che la possiede. L’educatrice è la vittima sacrificale di un incubo fattosi realtà. Porfiria, dopo molte insistenze, obbliga Miss Fielding a leggere quanto annotato sulle pagine del diario, costringendola a prendere atto di una trasformazione che la vede coinvolta: mese dopo mese, Antonia si trasforma in una gatta, divenendo ciò che nell’animo era sempre stata. Come se fosse in grado di leggere l’essenza delle persone, intuendone i segreti, Porfiria non solo annota gli accadimenti quotidiani, ma li anticipa. A tal proposito, Rodolfo J. Wilcock scrisse nella prefazione che «Ne Il diario di Porfiria Bernal, regna prepotente il tremendo mistero dell'anima infantile, reso ancor più sconvolgente dal dono della profezia». Di certo Porfiria è perfida, ha capito tutto della vita e si gode la propria crudeltà, sapendo di ferire e colpire la "povera" interlocutrice:

Interrompo questo diario, come lo interruppi allora, con stupore, il 5 ottobre, alle dodici di notte, accorgendomi che tutto ciò che Porfiria aveva scritto nel suo diario quasi un anno prima stava verificandosi. Roberto Cárdenas era venuto a mangiare quella sera per la prima volta. E lì avevo, davanti ai miei occhi, la data incredibile, 5 ottobre, scritta sulla pagina del diario, come una testimonianza magica, infernale. Il quaderno era stato in mio potere per tutto quel tempo.

La mutazione, prima immaginata, si palese con il passare del tempo. Miss Fielding, vittima sacrificale del demone bambina, ha fretta di giungere al termine del diario, verso quell’epilogo a cui pare irrimediabilmente destinata. Porfiria, consegnandole il manoscritto, ne rompe l’usuale struttura autoreferenziale, facendo diventare l'educatrice inglese l’obiettivo delle proprie parole, dei propri malumori, di ciò che coglie di ambiguo nell'altrui figura, fosse anche una sorta di perniciosa attrazione tra la governante e l'adolescente Michele, uno dei frequentatori della casa. Assieme ai lettori, in una sorta di empatia letteraria, Miss Fielding giunge al gran finale: trasformatasi in felino, fugge da una finestra lasciata sbadatamente aperta, dandosi alla macchia e chiedendo asilo alle vie di Buenos Aires. La sua scomparsa non lascerà altra traccia che il sussiegoso sollievo di una distratta famiglia ricca, e un'ultima, chiara e netta dichiarazione d'intenti:

Quando la incontrerò, se un giorno la incontrerò, le griderò per burlarmi di lei: "Mish Fielding, mish Fielding", e lei farà finta di nulla, perché sempre è stata un'ipocrita, come i gatti.

Niente è ciò che appare, nemmeno l’apparente purezza dell’infanzia. Questo sembra suggerire Silvina Ocampo, abile a mostrarci come, talvolta, il mondo “dei grandi” sia il frutto delle frustrazioni vissute dai bambini e come questi ultimi siano spesso turbati dagli incomprensibili atteggiamenti degli adulti nei confronti dei “piccoli”: un’insanabile frattura alla radice dell’infelicità del mondo. Calvino scriveva a riguardo: «Una crudeltà infantile che cova silenziosa e divampa ma il cui combustibile può essere anche attinto dagli odi degli adulti che i pargoli captano e fanno propri, magari fino a diventare esecutori di delitti perfetti. […]».

  1. Catalogo Vegetti della letteratura fanastica
  2. Livio Bacchi Wilcock, Wikipedia
  3. Silvina Ocampo, una visione femminile del fantastico. Da Argonline, di Mirco Mungari.
  4. Ibidem.
  5. Silvina Ocampo. L’opera estetica, metamorfosi del primordiale umano e linguistico. Di Laura Testoni.
  6. Cremona misteriosa. Il cercatore di tesori nascosti.
  7. La Fiuma, appunti etnografici. Di Giancorrado Barozzi, Edizioni Il Cartiglio Mantovano. Mantova 2007.
  8. Una lettura di La furia y otros cuentos di Silvina Ocampo. Di Emanuela Jossa.

Scheda del libro

  • Titolo: Il diario di Porfiria
  • Sottotitolo: Un racconto lungo dove nulla è come appare, nemmeno i bambini
  • Collana: Gli sherpa
  • Autore: Silvina Ocampo
  • A cura di: J. Rodolfo Wilcock
  • Traduttore: Livio Bacchi Wilcock
  • Pagine: 74
  • Editore: Todariana
  • Anno: 1967

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