Descrivere la poesia contemporanea (Luigi Severi - in un saggio contenuto nel volume collettivo Teoria & Poesia (Biblion 2018) definisce contemporaneo ciò che “nasce da un cambio radicale di percezione di sé nella storia”) è impresa ardua per chiunque, figurarsi per un sempliciotto come il sottoscritto. Nel cercare una chiave per affrontare la materia, decido di limitare il discorso a soli tre poeti. Cercherò di fare due sole cose in questo pezzo: la prima di dar conto di alcune interessanti discussioni intorno alla definizione della poesia contemporanea e delle sue forme, la seconda di restituire una lettura soggettiva di tale poesia, offrendo l’esempio di tre autori che sono rimasti nella mia memoria di lettore. Prima però una precisazione: sono un cultore assai sporadico di poesia.
Frugando sul web su Tommaso Pincio ci si può fare un’idea veloce: pragmatismo linguistico, narratore che si è formato nella cultura degli anni ’80 e ’90, che non ama entrare in contatto coi suoi lettori ed è indifferente alla sua identità o ai suoi doppi. Ancora Pincio come figura anomala del nostro panorama letterario: coetaneo dei Cannibali, con alle spalle esperienze da pittore, gallerista, traduttore. Insomma uno poco inquadrabile, un po’ come il compianto Andrea G. Pinketts, che meriterebbe prima o poi un articolo di approfondimento.