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Quando ero piccolo mio nonno mi mostrava la collina della Giana, o delle Giane (la grafia non importa: il dialetto non è fatto per essere scritto). Era – è – un rilievo ondulato, coltivato a grano: in mezzo stava un'apertura puntellata da mattoni, probabilmente (credo, oggi) un pozzetto medievale, scavato in corrispondenza di una fonte. Mi ci sarebbero voluti anni, e la lettura di Storia notturna di Carlo Ginzburg, per capire che quella misteriosa Giana (una donna? "Una specie", mi diceva mio nonno, senza entrare nei dettagli) altri non era che Diana cacciatrice, sopravvissuta e trasfigurata da duemila anni di Cattolicesimo; e le Giane null'altro che le Dianæ, le ninfe che l'attorniavano, ora divenute una qualche sorta di fate (donne? una specie).