Direi per la quantità di chiavi di lettura, o meglio ("chiave" mi fa pensare a un indovinello da risolvere... troppo poco per un buon libro!) di sentieri che si aprono simultaneamente davanti al lettore. Biologia aliena degna di Farmer, avventura marziana alla Burroughs, struttura sociale dei cacciatori umani come in un saggio di Lévy-Strauss. Ma, soprattutto, lo straniamento del giovane cacciatore, che affronta il rito di iniziazione prescritto dalla sua tribù, e si trova improvvisamente trattato da nemico dalle persone più care; supera le prove, nonostante difficoltà di cui non gli avevano parlato... per scoprire che gli amsir, la Spina, il Mondo – insomma: le cose – sono ben diverse da quelle che gli avevano fatto credere. Ammaliante per chi sta vivendo un passaggio simile!
In definitiva, il racconto somiglia per alcuni aspetti a Gli uomini nei muri di William Tenn, cruda e atipica storia di sopravvivenza di un'umanità sconfitta; ma soprattutto (perdonatemi un'altra digressione generazionale) a... Woobinda! Il telefilm del ’78 che, rovesciando le prospettive consuete, raccontava di un giovane bianco, membro di una tribù africana, che doveva superare pesanti prove per raggiungere la maturità di guerriero, con l'aggravante di una sorta di razzismo a rovescio.
E pensare che nel 1981 la fantascienza in Italia tirava al punto che Giovanni Armenia provò a fare concorrenza diretta a Urania, con questa collana «Omicron»! Layout grafico fin troppo simile, ma i romanzi scelti erano buoni; copertine alla Chris Foss.
E l'utopia? Ah, sì, l'utopia... quella è nella seconda parte del romanzo. Per chi ha letto La macchina del tempo di Wells e City di Simak, non c'è molto da aggiungere se non una spruzzata di comune hippy (il romanzo è del ’67). Sono come due romanzi brevi riuniti, e la giuntura è molto brillante (il protagonista diventa totalmente padrone della situazione); ma il succo è nella prima parte.