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Lo confesso, non ho mai pensato a Carlo Sgorlon come ad un nome da affiancare a Dino Buzzati o a Tommaso Landolfi, uno di quegli scrittori abituati ad avere a che fare con il visionario e l’insolito, anche per descrivere quell’Italia che Gianfranco Contini definì «magica senza magia, surreale senza surrealismo».