La città morta, di William Voltz

Giovedì, 09 Gennaio 2014

William "Wivo" Voltz, pseudonimo di Willi Christian Voltz, è uno scrttore di lingua tedesca, nato a Offenbach nel 1938 e deceduto nel 1984. Autore brillante e molto dotato, scriveva fantascienza d'avventura e nello stesso tempo storie d'atmosfera. Molto prolifico, prediligeva scritti in "forma breve", raccolti in seguito in antologie pubblicate a suo nome. Dai racconti ai romanzi il passo è breve, ma non tutti gli scrittori sono stati in grado di affrontare e superare indenni la prova. Questo però non è successo a Voltz, che ha saputo trasfondere anche nelle opere più lunghe quelle abilità di invenzione e di scrittura che l'avevano reso famoso con i racconti.

In Voltz lo humour non fa mai difetto, la trovata geniale è pronta, le trame sono ben congegnate e ricche di colpi di scena1. Appassionato di tecnica, era anche un esperto di fisica, fisica nucleare e astrofisica, interessi che non pesarono mai sulla narrazione, ma che gli servivano esclusivamente per non commettere grossolane assurdità scientifiche2.
Il suo eclettismo e le indubbie doti di scrittore non passarono inosservati in patria, tanto da farlo entrare nel team della serie di fantascienza di "Perry Rhodan", un riconoscimento che in Germania aveva grande valore, portandolo addirittura a esserne il caporedattore. Purtroppo, l'enorme impegno richiesto nella stesura delle storie per la serie tedesca ha di fatto limitato molto il tempo a sua disposizione, impedendogli di essere più prolifico.

William Voltz è figlio legittimo di quel periodo storico post Seconda guerra mondiale conosciuto come Guerra fredda. Cittadino della Germania Ovest, visse sulla propria pelle le tensioni di quel tempo, acuite dalla "questione Berlino", con annessi e connessi: il muro, le divisioni, i "buoni" e i "cattivi", una città letteralmente tagliata in due. Nella "Conclusione" a Future City, un'antologia di racconti pubblicata nel 1973, Frederik Pohl afferma che le città «esistono, ed esisteranno sempre... finché esisterà la civiltà». Amata o odiata, cercata come luogo-mito o fuggita perché schiavizza, la città è sempre al centro della fantascienza sociologica: è diventata il setting ottimale in cui ambientare i romanzi, lo spazio da conoscere per eccellenza, «il simbolo del fantastico e dell'impossibile nascosto sotto la maschera del quotidiano»3. Ne La città morta, Voltz utilizza come scenario proprio una città, una metropoli divisa in due, che per certi versi rappresentava per l'autore sia il presente che un ipotetico e distopico futuro: non si fronteggiano capitalismo e comunismo, ma Cacciatori e Sospesi. In entrambi i casi vi è una linea di demarcazione che gli uomini "normali" non possono oltrepassare, in un senso e nell'altro.

I Cacciatori danno la caccia ai Sospesi, sorteggiati tra milioni dal supercomputer MACK, con l'obiettivo di contenere la popolazione e di salvaguardare le poche risorse rimaste dopo una guerra planetaria. Risorse che in buona parte servono come misura di sussistenza per i mutanti rinchiusi nella città morta. Tyler Muto, il protagonista, per sfuggire ai Cacciatori decide di addentrarsi proprio in questo luogo maledetto, oltrepassando la linea, il confine, il muro...

Gli enormi edifici in cui abitavano i miserabili erano davanti a Muto, come morti. Sembrava non ci fosse vita dietro le finestre. I mutanti non possedevano un'iniziativa propria che li spingesse a fare qualcosa. Aspettavano nelle loro stanze che li rifornissero di cibo e di tutto il necessario.

La città morta non è certo un libro con una trama insolita o che si allontani di molto dai canoni della fantascienza, ma l'autore è riuscito con abilità a mettere insieme alcuni temi classici (dopo bomba, mutanti, viaggi stellari), creando una trama originale che non sfigura nel confronto con alcuni titoli ovvi a cui si è portati a pensare durante la lettura del libro, 1984 sopra tutti. Proprio come il capolavoro di Orwell, siamo alle prese con una distopia, ovvero una società futura indesiderabile sotto tutti i punti di vista, paragonabile al peggiore dei mondi possibili. La distopia descritta da Voltz è la trasposizione letteraria dei regimi totalitari che hanno funestato il Novecento, con l'aggravante che una buona parte del globo terracqueo è invivibile. Secondo Hannah Arendt, con il termine "totalitarismo" indichiamo quei regimi – il nazismo e lo stalinismo – che, pur nelle loro differenze storiche, sono accomunati dalla volontà di eliminare individui ritenuti "dannosi e superflui" per creare l'"uomo nuovo" costruito dall'ideologia. Ne La città morta è un computer a regolare tutto ciò, in un senso o nell'altro, decretando secondo regole sconosciute ai più la "sospensione" di una persona. Ma cosa significa "venire sospeso" nell'angoscioso mondo di domani? Chi sono i cacciatori? Qual è la vera funzione del MACK e soprattutto cosa rappresenta veramente la Città Morta? Qual è il segreto senza nome che si cela tra le sue mura? Non posso rispondere, rivelerei troppo di questo ottimo romanzo, che ha sofferto dello svantaggio di essere stato scritto da un autore non di lingua inglese e che meriterebbe una ristampa. In rete si trovano comunque edizioni digitali dell'opera.

  1. William Voltz, Stazione Galattica 17, Collana Antares n. 4, profilo dell’autore di Antonio Bellomi (1977).
  2. William Voltz, Stazione Galattica 17, Collana Antares n. 4, profilo dell’autore di Antonio Bellomi (1977).
  3. Francis Lacassin, Il fantastico cittadino, in Giuseppe Petronio (a cura di), Letteratura di massa, Letteratura di consumo, Laterza, Roma-Bari 1979.

Scheda del libro

  • Titolo: La città morta
  • Collana: Gemini n.7, Mensile della serie "I Campionissimi" della fantascienza.
  • Autore: William Voltz
  • A cura di: Luigi Randa
  • Traduttore: Mariangela Sala
  • Pagine: 128
  • Editore: Solaris Editrice
  • Anno: 1975

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