Misteri d'Italia

Gente di frontiera, di Leo Talamonti

Lunedì, 21 Marzo 2016

In una villa nei dintorni di Roma, si verificò uno strano fatto. Una notte, un cacciatore che si era levato prima dell'alba, udì una voce infantile che cantava con tono stridulo una canzoncina: poco dopo la voce s'interruppe, e si udirono delle grida laceranti, miste a singhiozzi...

Che Profondo Rosso di Dario Argento sia un capolavoro si sa, e anche i motivi sono ben noti: la colonna sonora dei Goblin, il volto dell'assassino, l'eleganza discreta di David Hemmings. E tuttavia, mi pare, non si è mai sufficientemente prestato attenzione a quanto quella pellicola sia stata efficace nel catturare lo spirito del tempo – e non soltanto per le diatribe su proletariato e borghesia tra Hemmings e Gabriele Lavia. Il film si apre in un teatro, dove ha sede un congresso di parapsicologia: uno psichiatra, il professor Giordani, presenta al pubblico una medium tedesca – Helga Ulmann – che avverte fra il pubblico lo squilibrio di una mente omicida. Più tardi, è lo stesso Giordani a indirizzare il protagonista – il jazzista inglese Marc Daly – a uno pseudobiblion fra i più celebri del cinema di genere, Fantasmi di oggi e leggende nere dell'età moderna di Amanda Righetti (Perugia, SGRA Editore, 1956): un tascabile dalla grafica essenzialmente modernista, che ricorda un po' i libri della Scuola del Cerchio Firenze 77 (Edizioni Mediterranee), e il cui indice – visibile per pochi fotogrammi – è tutto un programma:

Il pazzo di Verona
La zoppa arsa viva di Pavia
L'incubo del pagliaio
La villa del bambino urlante
Il segreto del monaco rosso
La strega di Pordenone
Il mistero del bosco di betulle
I bambini omicidi di Foggia
Il fiore che dava la morte
La danza nel cimitero (1)

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Nel 1975, libri come Fantasmi di oggi erano ovunque: confinati per secoli tra foreste erciniche e brughiere caledoni, spettri e leggende nere avevano da tempo dimostrato di potersi perfettamente adattare a posti come Verona, Pavia, Pordenone e Foggia, delineando – dietro all'immagine ufficiale e solare del Belpaese – l'ombra di una provincia lunare e segreta. Ed è facile dimenticare, più di quarant'anni dopo, come a metà degli anni '70 parapsicologia e medianità fossero considerati qualcosa di più che hobby per gonzi. Gli anni '60 e '70 sono l'epoca d'oro di sensitivi e medium, molti dei quali – come Gustavo Adolfo Rol, Bruno Lava e Pasqualina Pezzola – resi noti al grande pubblico dai reportage di Dino Buzzati: un tempo in cui psicoanalisti come Emilio Servadio (tra i modelli, forse, del Giordani di Profondo Rosso) potevano gettare un ponte tra Freud e l'occultismo, e in cui un libro di metapsichica come Universo proibito di Leo Talamonti (Milano, Sugar, 1966) poteva diventare un vero e proprio best-seller, ristampato almeno quattro volte e tradotto in Francia, Spagna, Germania e Inghilterra. Nel 1978, col suo Viaggio nel mondo del paranormale, Piero Angela avrebbe assestato un colpo non indifferente alla moda dell'occulto: ma nel 1975, mentre Profondo Rosso esce nelle sale, i fenomeni paranormali sono ancora un argomento à la page. E, in quell'anno, Leo Talamonti se ne esce con quello che forse è il suo libro più evocativo e sperimentale: Gente di frontiera, pubblicato da quella stessa Mondadori che nel 1969 aveva acquistato i diritti di Universo proibito.

Talamonti era un ex ufficiale dell'aeronautica che dai primi anni '60 aveva preso a occuparsi di divulgazione pseudo-scientifica, con un particolare interesse per i fenomeni paranormali. In particolare, dalle pagine del periodico La Settimana Incom Illustrata – su cui scriveva anche Emilio De Rossignoli - Talamonti aveva per anni raccolto le segnalazioni dei lettori su fenomeni inspiegabili di ogni genere, raccolte – sempre nel 1975, per Rizzoli - in Parapsicologia della vita quotidiana. I due volumi stanno come pannelli di un dittico: se l'uno esaminava l'inspiegabile del quotidiano, l'altro raccoglieva – come da sottotitolo – Storie di creature "diverse", in anticipo sull'evoluzione: sensitivi, veggenti, medium, tutti incontrati dallo stesso Talamonti nel corso degli anni.

È difficile dire cosa Gente di frontiera sia – non è un reportage, e nemmeno un saggio, ma neanche un libro di racconti; e Talamonti aggiunge ambiguità all'ambiguità, ponendo in epigrafe una citazione da H.P. Lovecraft ("Che cosa sanno gli uomini di oggi della vita, e delle forze che agiscono dietro di essa?"), vale a dire dal più quintessenzialmente scettico degli scrittori weird. Sono tutte "vicende realmente vissute", si precisa nell'introduzione: e, tuttavia,

in qualche caso, e per trasparenti ragioni di riserbo, si è creduto di dover travestire il nome di alcuni protagonisti; ma sono vicende, aggiungiamo, vissute a un tale livello di soggettività, che a chi le guardi dall'esterno, senza compenetrarsi della logica segreta che le anima, può riuscir difficile, a volte, discernere quanto in esse vi sia di obiettivo secondo i cànoni del senso comune, e quant'altro appartenga, invece, ai mondi del sogno. Ma non è vita anche il sogno?

Insomma, per Talamonti la logica che abita il mondo dell'"insolito" – una non-logica notturna, fatta di corrispondenze segrete e "soggettività" quanto di fatti obbiettivi e contingenze dimostrabili si nutre la logica "diurna" e scientifica – non può che riverberarsi nelle forme in cui lo si racconta, facendo svanire i confini tra scienza e letteratura e – addirittura – fra mito e lógos.

Vero? Non vero? In questioni del genere, non si può parlare di veridicità in termini così grezzi: bisogna fare i conti con un'autenticità di tipo più sottile, quella che entra in gioco nei mondi della poesia e del mito [...]. [...] allora la verosimiglianza, quella intesa nel senso corrente, deve cedere il posto alle esigenze particolari di un realismo che non si ferma alla superficie delle cose, tutto proteso com'è a guardare oltre il velo: il realismo magico.

È il vecchio programma di Pauwels e Bergier, il fantastico come unica letteratura veramente realista: perché in un tempo in cui tutto sta diventando possibile (l'energia nucleare, l'infrangersi dei limiti dello spazio-tempo, i viaggi spaziali, l'infinitamente piccolo di atomi e neutrini, l'azione dell'inconscio, le metamorfosi della materia) solo una parola di tipo magico può dare compiutamente conto della realtà. Nel maggio 1968, sui muri di Parigi – e nel momento in cui la rivista di Pauwels Planète tirava centinaia di migliaia di copie – "esigere l'impossibile" era stato definito, ugualmente, come l'unica e più autentica forma di Realpolitik.

Anche Talamonti sa benissimo che la magia è un problema politico: la gente di frontiera che egli descrive – i sensitivi, i medium, le fattucchiere, i maghi – rappresenta ai suoi occhi l'immagine di un'umanità a venire, e al tempo stesso una "minoranza discriminata e mortificata" dalla pretesa superiorità intellettuale dell'Occidente illuminista e "razionale".

Fino a qualche decennio addietro, gli etnologi si compiacevano nel definire "primitive" le culture dei popoili che vivono allo stato di natura, e ne giudicavano "superstiziose" le credenze, "aberranti" i costumi. [...] gli antropologi e gli etnologi più aggiornati – ed è a quanto dire i più giovani – sono giustamente refrattari a considerare come "primitive" le culture dei popoli di cui si parla [....]. È dunque una vera e propria rivoluzione di prospettive che ora si va delineando: come se la civiltà occidentale, finora così incline a sopravvalutarsi e a sottovalutare le altre, si accingesse infine a ridimensionare le proprie borie, a rinnegare i più o meno larvati razzismi coltivati fino al recente passato. [...] Non è azzardato affermare che la situazione [di veggenti e sensitivi, di maghi e di medium], nei paesi dell'Occidente, assomiglia per lo più a quella di una minoranza etnica oppressa da una massa umana di peso superiore e piuttosto incline a considerarla con diffidenza, fino al punto di rivolgerle accuse precise.

Il realismo magico è dunque un modo di salvare la voce dei sommersi dalla storia – della principessa russa, in esilio a Roma, che si guadagna da vivere come veggente; della medium napoletana salvata da un'anima del Purgatorio nella Napoli devastata dalla guerra; o di contadine come la veneta "Amalia Bertoni detta Lia", tenuta per strega sin da bambina e – dunque – ammirata e temuta a un tempo, come accade a chiunque venga investito dalla sacralità (nel senso latino di sacer) degli stati liminari. Un'umanità, scrive Talamonti, che il moderno ha relegato ai margini, attraverso le accuse "di mistificazione e frode" o quelle "etichette patologistiche [...] che chiamano in causa l'isterismo, la mitomania, la nevrosi nelle sue varie forme, e perfino la disintegrazione della personalità". Il tribunale e l'ospedale psichiatrico, insomma, quelle istituzioni – cioè – a cui la modernità post-illuminista ha delegato la repressione dei diversi: un'altra musica, a pensarci bene, che nel 1975 – l'anno di Sorvegliare e punire di Foucault – girava parecchio intorno.

  1. L'indice è stato ricostruito dal blog Libri nei film.

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Scheda del libro

  • Titolo: Gente di frontiera
  • Sottotitolo: Leo Talamonti se ne esce con quello che forse è il suo libro più evocativo e sperimentale
  • Autore: Leo Talamonti
  • Pagine: 576
  • Editore: Arnoldo Mondadori Editore
  • Anno: 1975