Giallo

Il lirismo provinciale e borghese di Ugo Facco De Lagarda: tra giallo all'italiana e commedia antica

Domenica, 01 Ottobre 2023

Il genere gotico e quello thriller possiedono un grado di parentela maggiore di quel che si pensi. Entrambi sono dominati da un senso di abbandono. L'abbandono nel tempo remoto in fuga da un presente che corre è il motore del genere gotico (e non a caso è attraversato da un vento nostalgico e si affaccia nei momenti di sviluppo sociale e tecnologico), mentre l'abbandono all'irrazionale, all'irrequietezza, al delirio, alla follia è il meccanismo su cui poggia le basi il thriller. Su entrambi si allunga l'ombra del languore. Sono due generi nostalgici, in fondo.

Di ben diversa fattura è invece il genere giallo, che di primo acchito è fratello del thriller, ma non potrebbe in realtà essere qualcosa di più diverso nelle intenzioni e nella sostanza stessa. Se il thriller viene spesso raccontato come un imbastardimento del giallo, caratterizzato dalla maggiore attenzione rivolta all'elemento di suspence, è per colpa delle strutture archetipali delle trame, non certo per via della sua natura. Lo avevano intuito bene i registi del thrilling italiano, che sulle trame di detection avevano steso il velo malinconico delle musiche morriconiane e le immagini saturate che richiamavano alla Pop art. Il languore come cifra di un viaggio senza ritorno nel contemporaneo irrazionale, una traversata psichica oltre le soglie della logica anni Sessanta. Il giallo riconduce il lettore o lo spettatore nell'alveo rassicurante del logico, dell'ordine. Il thriller lo trascina oltre, abbandona il fruitore del prodotto culturale in balia dei demoni meridiani della modernità, del caos. Per questo il giallo è più prossimo al genere comico, in quanto sono accomunati dall'obiettivo di consegnare una realtà migliorata allo spettatore. I finali delle opere appartenenti ai due generi sono consolatori, a lieto fine, presuppongono la conquista della verità, la pace di un conflitto, il ristabilirsi dello stato originario. Per questo i gialli-comici riescono tanto bene: perché sono sorretti da un buon proposito iniziale, che a sua volta poggia sulla sostanziale simmetria dei meccanismi più profondi appartenenti ai due generi. L'aveva capito bene uno degli antesignani del genere giallo-comico italiano: Ugo Facco De Lagarda, veneziano nato sul finire dell'Ottocento. Fu poeta e prosatore, ma il suo lavoro, oggi, è stato pressoché dimenticato.

Nonostante la critica sia alla ricerca di maestri di generi oggi amati, non viene riportato alla ribalta questo scrittore lontano dai grandi palcoscenici italici. Fu partigiano durante la guerra civile e direttore di banca al termine del conflitto bellico. Oggi, i suoi libri sono poco più che resti di magazzino e le sue opere vengono scambiate ai mercati delle pulci, sui banchi dei libri usati e finiti fuori catalogo. Ma dato che Ugo Facco De Lagarda sapeva scrivere ed è stato in grado di tracciare una via letteraria seguita da altri, in questa sede ci interessa tentare di riabilitare il suo nome e di guidare alla riscoperta delle sue opere. I suoi scritti più celebri sono Cronache cattive e La grande Olga, romanzi che, con un realismo che si scompone e cede il passo alla vaghezza di una lingua diffratta, raccontano storie di vita dal sapore aspro e intenso. Ma è soprattutto Il commissario Pepe che ci interessa. Per via del suo carattere innovatore e anticipatorio. Si tratta di un romanzo breve, quasi una novella, di genere giallo-comico.

Ambientato in una provincia immaginifica e perfetta, dove tutto è ordine e quiete e gli abitanti sono mossi dai fili invisibili di una animata pace senza requie, la narrazione prende il via a seguito di alcune segnalazioni giunte da più fonti al commissariato del luogo e che i funzionari che lì lavorano non possono più continuare a ignorare. Sono, anzi, stati costretti a raccogliere alcune prove in un faldone e, dopo essersi assicurati che la notizia fosse accettata senza mutare più del mutabile l'ozio infinito del commissario, lo hanno sottoposto al giudizio del loro superiore. Inizia così un'indagine che porta il lettore sul selciato dell'interesse per il quadretto umano e sociale, in cui lo svolgimento dell'indagine è solo l'intelaiatura perfetta con cui fare funzionare il meccanismo. Come sarebbe successo qualche anno dopo a "La donna della domenica" di Fruttero e Lucentini, l'adattamento cinematografico metterà in una luce minore le componenti più profonde del messaggio contenuto nel testo, in favore dell'emersione dei caratteri comici e investigativi. Eppure, anche per il film non ci fu un futuro di molto più roseo rispetto a quello destinato al libro. Non bastò disporre di un regista come Ettore Scola e di un attore protagonista come Ugo Tognazzi per salvare dall'incedere del tempo la pellicola. I più curiosi lo trovano disponibile su RaiPlay.

Eppure, per tornare al libro, come sottolinea Alfredo Ronci: "Il commissario Pepe ci sembra, per via traverse, degno erede del Pasticciaccio di Carlo Emilio Gadda, in una lingua forse non magmatica, come nel prodigioso incedere gaddiano, ma netta e polita nella sua essenza niente affatto conformista e ricca". E se l'opera gaddiana risulta di lettura complessa, adatta certamente a un pubblico dotato di impegno, quella di Facco De Lagarda è estendibile a chiunque e, per il suo guardare ai fatti pruriginosi che sono il motivo dell'indagine, presenta anche elementi di una certa attrattiva. In una provincia addormentata, per dirla alla Michele Prisco, succedono fatti che riguarderebbero la squadra del buon costume di ogni commissariato: si tratta dell'inchiesta più bollente che abbia sfiorato il commissariato guidato dal commissario Pepe, per via del fatto che rischia di invischiare anche volti noti della città e anticaglie borghesi delle alte sfere di ogni sorta. È così costretta a prendere il via la non indagine ad opera del commissario, indolente funzionario dell'ordine pubblico che ha in mente un concetto molto annacquato di reato civile e penale. E l'inchiesta ha più le forme di un susseguirsi di pannelli sociali e umani. Gli interrogatori sono dialoghi tra pari, ben poco insinuanti, eppure l'idea che si fa il lettore di quell'ambiente è di ben altro calibro e il lettore accorto potrà ricavare l'impressione generale di una provincia malsana e consumata dal vizio. Quel che più ci interessa, però, è rinvenire le origini profondamente letterarie del meccanismo adoperato dall'autore.

Sfruttando i canoni del genere giallo, Facco De Lagarda plasma un ibrido letterario che affonda la propria ispirazione primaria nella commedia antica, soprattutto plautina. Vi sono tutte le caratteristiche per poter estrapolare il cuore della commedia latina e riadattarla al topos dell'indagine poliziesca: un protagonista riottoso e abulico, un contesto formale in cui il fraintendimento è dietro l'angolo, un ambiente vizioso in cui anche gli altolocati possono mostrare i propri punti deboli, un humus letterario opaco e cangiante, dove la parola è controllata strenuamente dall'egida di un gusto per il divertissement, per il pastiche linguistico, per il doppio senso. Infine - ed elemento forse più importante -, la sceneggiatura stessa del soggetto prende la forma definitiva della beffa: sarà proprio il commissario Pepe a cadere vittima di una raffinata beffa manovrata dalle mani del fato ed egli diventerà, in un molteplice rovesciamento di assi cartesiani, un Miles gloriosus contemporaneo.

Scheda del libro

  • Titolo: Il commissario Pepe
  • Collana: Poesia e verità; 12
  • Autore: Ugo Facco De Lagarda
  • Pagine: 111
  • Editore: Neri Pozza Editore
  • Anno: 1965