Realismo

Il Giornale, di Nino Palumbo

Giovedì, 11 Settembre 2025

Dopo aver letto Mi troverai nel fuoco di Robert Lowry, ho preso in mano un altro libro targato Mondadori. I due differiscono soltanto per il colore della copertina: verde il primo, arancione il secondo. I più attenti avranno già capito che sto parlando de La Medusa degli italiani. Nata nel 1947 come primo atto della «campagna per la letteratura italiana», aveva l’obiettivo di radunare attorno alla casa editrice milanese alcuni dei più promettenti autori del nostro paese. Tra questi figura anche Nino Palumbo, nato a Trani nel 1921 e morto a Genova nel 1983. Pubblicò due romanzi in questa collana: Impiegato d’imposte (1957) e Il Giornale (1958). Entrambi hanno come protagonista un impiegato, in una città che potrebbe essere la Milano del boom economico, anche se non viene mai nominata.

La sua vita è raccontata privilegiando l’introspezione psicologica, più che la cronaca dei fatti. Questo è evidente soprattutto nel secondo romanzo, che prende le distanze dal neorealismo allora in voga. Palumbo mette in scena un poveretto, un inetto ai margini della società e in rotta con tutti. Per certi versi ricorda il ragionier Ugo Fantozzi, con le dovute differenze: anche lui uno sfigato, ma pur sempre un colletto bianco, con il corredo piccolo-borghese fatto di automobile, vacanze e malattie pagate, televisore e... birra Peroni! Sia Impiegato d’imposte che Il Giornale partono da spunti autobiografici, ma allargano lo sguardo a un malessere esistenziale più vasto. Raccontano la condizione di una generazione sospesa tra la promessa di benessere e un senso persistente di inadeguatezza. È in questa tensione, tra l’individuo e la società che lo schiaccia, che si trova la forza più autentica della scrittura di Palumbo.

In Il Giornale, Nino Palumbo racconta la vicenda di Domenico Chessa, facchino e poi archivista di banca. Per vincere la noia di un lavoro alienante, ogni mattina Chessa dedica parte del suo tempo all’acquisto di un quotidiano, che affronta senza tralasciare un singolo articolo. È una fuga, un’attività altra che lo aiuta a non sentirsi schiacciato dal binomio casa–lavoro. Con il tempo, però, la lettura prende il sopravvento su tutto il resto e si trasforma in una mania. La sua abitudine diventa sproporzionata, sia in termini di impegno fisico sia di spazio occupato. Raccogliere i giornali, studiarli e stiparli con quelli vecchi si trasforma in un compito ossessivo, incompatibile con i ritmi dell’impiego. Ciò che era nato come valvola di sfogo diventa la spia di un malessere più profondo.

Da “signor nessuno”, invisibile, Chessa diventa improvvisamente troppo visibile, sempre sotto gli occhi di tutti. Arriva tardi al lavoro, irrita colleghi e superiori. Il suo ostinato leggere davanti alle finestre della banca non è più visto come passatempo innocuo, ma come una sfida. L’esito è inevitabile: il licenziamento. Inizia così la sua parabola discendente. I tentativi di farsi riassumere risultano inutili e frustranti, con continue suppliche rivolte al Mega Direttore Generale. Ma non c’è più spazio per lui. Chessa è espulso come un corpo estraneo, “un calcolo renale” che l’organismo elimina senza rimpianti. Dopo trentacinque anni di servizio, resta soltanto il ricordo di un fastidio ormai passato.

Il protagonista del libro è un emarginato sociale. Lo è fin dall’inizio, probabilmente fin dalla nascita. Nonostante il lavoro in banca, tutti lo ignorano. Non ha un amico, non ha un conoscente, non ha un amore con cui condividere l’esistenza: la sua vita è all'insegna del NON. E quando nemmeno più il paravento dell’impiego di concetto riesce a dargli conforto, la solitudine diventa assoluta. Per la portinaia è soltanto un “fissato”, per gli altri un paria. Chessa cerca allora rifugio tra gli ultimi, quelli che dovrebbero essergli simili. Nel parco legge e racconta le notizie del giorno come un predicatore scalcinato, che prova a dare senso alla propria voce. Ma ottiene al massimo un’attenzione distratta. Sintomatico il corto circuito alla sua morte: i barboni apprendono la notizia della sua dipartita proprio da un quotidiano, la stessa carta che aveva nutrito la sua ossessione. È un destino beffardo, che sembra accanirsi su di lui anche oltre la vita. Ma non è il vero finale. A Chessa accadrà qualcosa di ancora peggiore. Conviene fermarsi qui: svelarlo toglierebbe il gusto amaro della scoperta.

Il Giornale è un romanzo agrodolce. Il sorriso che nasce da certe situazioni lascia subito l’amaro in bocca. Ciò che realmente racconta è l’annullamento dell’individuo, la rigida gerarchia che domina il mondo del lavoro, la solitudine e l’alienazione in cui si può cadere quando qualcosa si incrina. Impossibile non cogliere le affinità con Il Cappotto di Gogol’, peraltro dichiarate dallo stesso Palumbo, che nell’epigrafe cita alcune parole dello scrittore russo: «Essere fratello d’anima e non di sangue è proprio soltanto dell’uomo». Che Domenico Chessa cercasse disperatamente di sentirsi meno solo appare evidente. Nella parte finale del libro, quando incontra i senza fissa dimora, la sua figura si fa più umana. Se prima era soltanto un’ombra, ora acquista almeno un po’ di colore. Che abbia finalmente trovato i suoi fratelli d’anima? Palumbo lavora con costanza sulle dicotomie: tra l’essere e il non essere, tra libertà e lavoro, tra accettazione ed emarginazione sociale. È in questo spazio di contraddizione che il romanzo trova la sua forza. Mostra quanto fragile sia il confine tra normalità e marginalità.

Attraverso la storia del protagonista del romanzo, lo scrittore pugliese costringe a riflettere sulle dinamiche sociali che portano alla disumanizzazione dell’individuo, spingendo a interrogarsi sull’equilibrio tra identità personale e richieste del mondo esterno, sulle sovrastrutture e sulle aspettative a cui siamo soggetti. Palumbo offre uno spaccato doloroso ma realistico della condizione umana, lasciando una consapevolezza amara ma necessaria: la fragilità della nostra esistenza e il sottile filo che separa integrazione e alienazione. E se ieri l’ossessione di Domenico Chessa erano le pagine di un quotidiano, oggi potrebbe esserlo lo scorrere infinito di un feed digitale: la stessa compulsione che promette compagnia, amplifica la solitudine e diffonde dopamina. In definitiva, Il Giornale è un romanzo che merita di essere riletto, perché mostra quanto poco o nulla sia cambiato dai tempi di Chessa. Questa non è mia, l’ho letto sul giornale giusto stamane! ;-)

  1. Silvana Folliero, Invito alla lettura di Nino Palumbo, Mursia, Milano, 1976, pagina 48.

Scheda del libro

  • Titolo: Il Giornale
  • Collana: La Medusa degli italiani, 115
  • Autore: Nino Palumbo
  • Pagine: 286
  • Editore: Mondadori
  • Anno: 1958
  • Anobii: scheda del libro

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