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Sono finalmente riuscito a procurarmi Qualche goccia del tuo sangue di Theodore Sturgeon, che da tempo avevo nella lista dei desideri di Anobii. Non che fosse impossibile acquistarlo, considerando le edizioni relativamente recenti pubblicate da Urania Horror e da Giano, ma non mi era ancora capitata l'occasione giusta. La settimana scorsa, al Libraccio di Mantova, una copia edita da Mondadori nel 1990, dallo scaffale ha cominciato a farmi l'occhiolino e così... eccomi qua.

Gli Stati Uniti d’America, per noi europei, costituiscono da sempre un oggetto di studio in tutte le loro sfaccettature, vuoi per l’influenza che da quasi un secolo esercitano sulla cultura di massa, vuoi per uno strano senso di “sudditanza” che ci trasciniamo dietro dalla fine della Seconda Guerra Mondiale o forse perché, molto più banalmente, ci lasciamo sedurre da quel senso di innato ulissismo che caratterizza la loro Storia fin dallo sbarco dei primi coloni dalla Mayflower.

Ho acquistato questo interessante libro dopo un incontro fortuito al Festival della Letteratura di Mantova. Tra una presentazione e l'altra, nel vortice delle tante parole al vento tipiche di quei giorni, mi ha colpito il consiglio di Ernesto Valerio di readerforblind: "Leggi Mi troverai nel fuoco di Robert Lowry, è come un pugno nello stomaco".

Nel 1974 lo scrittore americano Jeffrey Konvitz pubblicò con la Ballantine Books il libro horror The sentinel, uscito in Italia nel 1976 con il titolo La Sentinella del Male, per la Sonzogno. Da allora non è mai stato ristampato e sulla Baia è reperibile a prezzi non altissimi ma comunque di tutto rispetto. Dal romanzo fu tratto anche un film, adattato per il grande schermo da Michael Winner e dallo stesso Konvitz, che fu però un autentico fiasco e venne parodiato da Ivan Reitman nella trama del suo Ghostbusters.

Anche gli Euroclub riservano gradite sorprese. Parlo naturalmente di libri che possono risultare interessanti per le tematiche che trattiamo su questo sito. In particolare, il romanzo Birdy dello scrittore statunitense William Wharton, nome d’arte del pittore Albert du Aime, restituisce al lettore tutti gli “orrori” che una guerra può lasciare nella mente di un uomo.

Thomas Ligotti è uno degli autori più originali del panorama letterario degli ultimi anni. Grazie all’opera meritoria di un editore come Ugo Malaguti e di un traduttore/curatore come Armando Corridore, gli scritti di questo autore sono stati diffusi anche in Italia. Ligotti inizia a pubblicare racconti (forma alla quale si dedicherà in massima parte) agli inizi degli anni ’80 su riviste amatoriali, rimanendo un autore di nicchia fino a pochi anni fa.

Ho da poco terminato la lettura di Bocche di fuoco, romanzo per il quale dopo essere giunto alla parola “the end”, mi sono detto: “Ed McBrain, non me la fai… sono sicuro tu abbia origini italiane”. Una rapida verifica ha confermato la mia impressione: nato Salvatore Albert Lombino, da una famiglia di immigrati italiani originari di Ruvo del Monte, ha poi cambiato legalmente nome nel 1952, diventando Evan Hunter. Così si firmò per la sceneggiatura di uno dei film più celebri di Alfred Hitchcock, Gli Uccelli. Solo per questo meriterebbe eterna riconoscenza. Ed McBrain è invece lo pseudonimo utilizzato per buona parte dei suoi lavori, tra cui la celebre serie poliziesca dedicata all'87° distretto della città di New York. 

Lascio per il momento da parte quei gustosi volumetti dei KKK, dei quali vi parlo da tempo, per fare un piccolo salto in avanti. Nel 1987 Sperling & Kupfer edita nella sua collana di paperback un romanzo di William Katz, “Gli occhi del terrore”, tradotto dall’americano da Luciana Bianciardi.

Ho trovato La festa del raccolto per caso, nella cesta dei libri che si possono scambiare messa a disposizione dalla biblioteca del mio paese. Cercavo il romanzo di Thomas Tryon da così tanto tempo da non ricordarne nemmeno bene il motivo, visto che non è uno di quei titoli che tutti cercano e che il suo autore è pressoché uno sconosciuto, almeno nel nostro paese. Devo dire che tutto questo ha giovato alla lettura, libera da preconcetti e da influenze varie: mi capita spesso che una recensione influisca sulle aspettative o sveli quegli aspetti del libro che invece andrebbero tenuti segreti.

Immaginate una di quelle zone residenziali della periferia di Los Angeles alla fine degli anni ’50, ovvero un reticolo di viali  con le villette ad un piano, dove tanti giovani padri di famiglia tentano di mettersi alle spalle gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e di convivere con il timore della Terza generando bambini con mogliettine devote, tagliando il prato la domenica, organizzando barbecue con gli amici e bevendo birra sul divano davanti  all’elettrodomestico più di moda in quel periodo: la TV, autentico strumento di affermazione sociale.

Lo confesso, mi sono recato a Mantova nei giorni del Festivaletteratura. A mia discolpa posso dire che a differenza dello scorso anno, questa volta non ho frequentato nessun evento particolare: il mio interesse per la kermesse letteraria si è limitato a quella zona di piazza Sordello dove trovavano ospitalità alcune bancarelle dell’usato. Tra queste, la più interessante proponeva un lungo tavolaccio, sul quale trovavano spazio torri e pile di vecchi libri, venduti con la formula del “tre per dieci euro”: inutile dire che diversi biglietti rossi hanno lasciato il mio portafoglio e che lo zaino si è riempito di parecchie cosette interessanti. In queste occasioni si acquista compulsivamente, attratti da copertine inusuali e colori vivaci, sperando sempre di trovare la piccola perla dimenticata. Siamo tutti un po’ cacciatori di libri, spinti dai consigli dei “vicini” di banco o da rapide consultazioni su Google. Stavo appunto curiosando, quando Gino, questo il nome del proprietario del banco, mi ha visto pescare dal mucchio un piccolo libro giallo, edito dalla Sugar sul finire degli anni Cinquanta, con due pugili in copertina. Senza pensarci due volte, Gino ha pensato bene di darmi un suggerimento: “Prendilo, quella è roba forte”. Potevo ignorare le sue parole? Grazie Gino, sono felice che tu ti sia preso la briga di spingermi all’acquisto di Un povero scemo, perché il romanzo di Erskine Caldwell è un piccolo capolavoro, letto tutto d’un fiato e grazie al quale mi è tornata la voglia di scrivere quassù, per condividere con voi la gioia di una gradita scoperta.

Il tempo dell’esilio esce in Italia nell’ormai lontano 1973, anche se l’edizione originale venne pubblicata negli Stati Uniti quasi un decennio prima, nel 1964 con il titolo di Tongues of the Moon. È importante ricordare il contesto storico di quel periodo, la Guerra Fredda e il pericolo di una deflagrazione su larga scala che avrebbe potuto portare alla fine del mondo, così come concepito fino ad allora. Aggiungiamo la perdita della centralità dell’Europa, i tentativi di avvicinarsi alla Luna e il superamento di alcuni tabù sessuali e avremo a grandi linee il piano del gioco entro il quale Philip Jose Farmer ha costruito la trama del libro. Come prevedibile, lo scrittore americano non solo ha utilizzato i cliché classici della fantascienza, ma ha preso spunto dal reale per deformarlo, incutere paura, sgomento e tanta rabbia, verso quella razza di bipedi che tutto può, nel bene e nel male.

Nel 1987 lo scrittore di crime fiction Lawrence Block viene chiamato a completare, con un finale che trovo francamente incoerente e frettoloso, un romanzo lasciato incompleto dal suo illustre predecessore Cornell Woolrich, morto diciannove anni prima. Lo si può quindi considerare come il libro dell’addio definitivo di Woolrich; Dentro la notte è un titolo quanto mai idoneo ad un commiato, tanto più che stiamo parlando di un autore che non ha fatto altro che scandagliare l’oscurità, descriverla in tutte le sue più cupe sfumature.

La vita dopo la morte non è per la gentucola umile e mansueta, per quanto rispettabile possa essere. È il tipo brillante con i dollari in tasca e gli occhi ben aperti che marcia in paradiso, non gli altri!”

Forse uno dei motivi per cui siamo rimasti in pochi a leggere i “classici” della fantascienza è che fa uno strano effetto veder raccontati gli anni che stiamo vivendo in maniera molto diversa dalla realtà. Era bello e plausibile immaginare che avremmo continuato nella corsa all’esplorazione spaziale, ma nessuno ha saputo prevedere quanto la tecnologia e la comunicazione digitali avrebbero cambiato la nostra vita, per cui può capitare di leggere di astronauti che viaggiano tranquillamente verso Marte o Venere e stendono un rapporto in triplice copia con la macchina da scrivere e la carta carbone.

Sottesa alla narrativa horror e fantastica di scuola lovecraftiana c’è una filosofia nichilistica che è stata definita “cosmicismo”, che considera la razza umana come una presenza accidentale ed insignificante all’interno di un universo meccanicistico, caotico ed indifferente. Creature e mondi spaventosi e sovrannaturali sono quindi creati anche per sfuggire a questa cupa visione di immensi cieli neri e vuoti. Questo aspetto decadente, questa sorta di spleen trasposto su scala cosmica, è colto alla perfezione dai racconti di Clark Ashton Smith, che di Lovecraft era, oltre che collega, amico epistolare; i due si stimavano ed ammiravano a vicenda e furono influenzati l’uno dall’altro, pur mantenendo stili ed approcci diversi. É significativo ricordare che Smith fu molto influenzato anche da Baudelaire e le sue traduzioni in inglese delle poesie del “maudit” sono considerate fra le migliori.

Tra Bradbury e Sturgeon: più dalle parti del secondo, però, dato che non abbiamo qui monelli dodicenni alle prese con l’ultimo autunno della loro pre-adolescenza (“io che ho corso su prati bianchi di luna per strappare ancora un giorno alla mia ingenuità”: quanto era bradburiano Claudio Baglioni?), ma tre ragazze diciottenni che in una torrida estate non vedono l’ora di superare del tutto l’adolescenza per tuffarsi nella vita e le sue sfide: in primis, inutile negarcelo, quella della sessualità. La sensibile e sensata Evelyn, l’infantile Francine, la concreta Rose non ne possono proprio più dell’ingenuità a cui le costringono padri tirannici o fratelli affettuosissimi.

Una spedizione archeologica torna da una lunga e tormentata campagna di scavi nel deserto dei Gobi, recando una cassa contenente preziosissimi reperti che, a detta dei suoi membri, potrebbe contribuire a riscrivere il passato e forse anche il futuro della Storia dell'Umanità: le testimonianze di una guerra tra i primi uomini e una misteriosa stirpe di "stregoni", dotati della capacità di trasformarsi in grandi predatori che, forse, non si è mai del tutto estinta.

Un’antologia dalla vita editoriale travagliata, e più volte “abortita”: così la definisce il Curatore, l’ottimo G. Lippi, nella Storia di un’antologia pubblicata in appendice al volume. La raccolta costituisce di fatto la seconda parte de Il meglio dei racconti dell’orrore di R. Bloch, il cui primo tomo era uscito nel 1990 nella defunta (il termine ci sembra quanto mai appropriato) collana «Oscar horror». Benché l’edizione originale fosse divisa in tre volumi (vol. I: The selected stories of R. Bloch, vol. II: Bitter Ends, vol. III: Last Rites), quella italiana, nelle intenzioni del Curatore, «si sarebbe articolata in due grossi volumi piuttosto che in tre di formato medio» (p. 389) per evitare eccessive frammentazioni.

Simmons è uno degli autori più celebrati della fantascienza degli ultimi 30 anni; It di Stephen King uno dei romanzi horror che ha fatto epoca, per la potenza dei temi nonché per la mole. Si direbbe che stiamo parlando di due mondi separati, dato che tra Hyperion e le cittadine del Maine non ci sono collegamenti. Eppure un collegamento c’è.

L’apertura mentale degli anni ’70, l’esplosione di orizzonti a livello popolare, si vide anche nella diffusione di una narrativa “animalista”, dove gli animali non erano più maschere di vizi e virtù umani, né volonterosi esemplari di teorie scientifiche o ideologiche, ma finalmente creature dotate di invidualità e coscienza, naturalmente entro i propri limiti: anzi, la sfida era proprio capire che tipo di coscienza potessero avere creature così diverse, veri alieni tra noi, da noi costretti, da sempre, al silenzio. Come altri ultimi della terra considerati fino ad allora buoni per spettacoli da circo, per esempio i Nativi Americani, chissà che non avessero qualcosa da insegnarci nel momento in cui la nostra potenza sembrava portarci in un vicolo cieco dopo l’altro.

Niente funziona meglio di un vecchio disco per viaggiare indietro nel tempo, tornare all’epoca in cui è stato inciso o in cui l’abbiamo sentito per la prima volta. L’età in cui la musica che ascoltiamo lascia un’impronta più decisiva è sicuramente l’adolescenza; nel caso di Lewis Shiner e Ray Shackleford, rispettivamente autore e protagonista di Visioni Rock (il titolo originale è Glimpses, lo stesso di un oscuro brano degli Yardbirds), questa età è coincisa con gli anni sessanta, una sorta di adolescenza sociale, musicale e culturale, una stagione ricca di eccitanti scoperte e di promesse.

Il tam-tam tra appassionati di fantascienza funziona ancora e così anche un vecchio romanzo come questo, di un autore stimato (ha avuto presentazioni da Asimov) ma che non ha mai creato grandiosi cicli o vinto premi Hugo – ed è scomparso da molti anni – ha un suo seguito. Finalmente ho potuto gustarlo: difficile anticipare la trama senza rovinarla; prendiamola alla larga e diciamo che i romanzi di Oliver hanno una solida e lineare narrazione e nascono in ambienti aperti (la savana africana delle Rive di un altro mare, qui l'alta montagna USA: 4000 mt!), in paesaggi che immagino aridi e polverosi, con un protagonista solitario... sarà perché Oliver era texano?

John Barth nasce nel 1930 a Cambridge, nel Maryland. In Italia è conosciuto più come teorico e professore universitario che come scrittore, ignorando il ruolo di primo piano che ebbe nell'ambito della letteratura nord-americana del secolo scorso, grazie a opere originali e mai banali che colpirono non poco sia la critica che il pubblico.Tra queste spicca Giles ragazzo-capra, quarto romanzo dell'autore: scritto nel 1966 e pubblicato in Italia da Rizzoli nel 1972 nella collana Scala, è oggi pressoché dimenticato, con sommo rammarico dello scrivente e di un nugolo di appassionati, visto che il titolo risulta presente in molte "liste" di libri da ristampare che circolano in rete.

È il primo romanzo di Matheson che leggo, quindi non posso valutare l'autore. Romanzo e racconti però fanno capire che Richard Matheson è uno di quegli autori che non vuole uscire dal genere che si è scelto, ma preferisce arricchirlo di spunti e di aperture.

«Ogni Conflitto Sociale è lo scontro di tre forze fra di loro contrastanti: l'Ordine Costituito, l'opposizione che cerca di rovesciare l'ordine esistente e sostituirlo con uno proprio, e la tendenza all'aumento dell'Entropia Sociale, tendenza che ogni Conflitto Sociale genera, e alla quale, in questo contesto, si può pensare come alla forza del Caos».

 Gregor Markowitz, Teoria dell'Entropia Sociale

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