Horror

Le notti di Salem: vampiri pasoliniani Made in Usa

Lunedì, 01 Luglio 2019

Salem's Lot è un’immaginaria cittadina del Maine caratterizzata dall’inquietante presenza di Casa Marsten, una villa abbandonata in cima ad una collina già teatro di un fatto di sangue negli anni del Proibizionismo. La sua piatta tranquillità provinciale viene improvvisamente turbata dall’arrivo di due misteriosi antiquari e da una strana scia di morti misteriose. Contestualmente vi giunge anche Ben Mears, un giovane scrittore, che torna deciso a fare i conti con i fantasmi della sua infanzia e con la tragica morte della moglie. Nel giro di pochi giorni, Ben e gli altri protagonisti si renderanno conto di trovarsi a fronteggiare una vera e propria epidemia di vampirismo, di fronte alla quale dovranno tirare fuori, oltre al coraggio, tutta la loro conoscenza sull’argomento, acquisita soprattutto grazie ai classici della letteratura gotica o del cinema horror.

Le notti di Salem rappresenta un vera e propria svolta nel panorama delle storie sui succhiatori di sangue. Se Richard Matheson, con Io sono Leggenda ha sfruttato questa classica figura del folklore est europeo per dare una lettura critica e sottilmente satirica delle ansie e delle paure della società americana durante la Guerra Fredda, King ritorna agli stereotipi del genere, filtrandoli però con il suo occhio particolare. In questo romanzo il vampiro perde le connotazioni sottilmente sessuali che lo caratterizzavano nei classici dell’800, diventando una figura esplicitamente luciferina: il misterioso Barlow che arriva in una cassa a Salem’s Lot, preceduto dal suo servitore ed apparentemente socio in affari Straker, non si presenta né nei panni di un raffinato seduttore come il conte Dracula, pronto a creare turbamenti ai personaggi femminili di un contesto sociale fortemente misogino e sessista come quello vittoriano, né come un manipolatore psicologico come il Lord Ruthven di Polidori o la straordinaria Carmilla di Le Fanu, la perfetta sintesi di tutte le sfaccettature del vampiro letterario alla quale si aggiunge l’omosessualità. Barlow appare piuttosto come una via di mezzo tra un generale ed una sorta di sommo sacerdote al servizio delle più oscure forze infernali, deciso a combattere la sua battaglia per asservire completamente il genere umano in ottemperanza al patto faustiano che sta alla base della sua condizione, sulla quale si permette persino di disquisire: un essere guidato da una sete di potere altrettanto forte di quella di sangue. Di fronte a tutto questo, King spinge i suoi personaggi a reagire seguendo uno schema classico: nasce spontaneamente una sorta di “comitato d’emergenza”, formato da individui di grande spessore culturale (uno scrittore, un sacerdote in crisi, un professore di letteratura, esplicitamente paragonato a Van Helsing ed un ragazzino che potremmo definire una sorta di “proto-nerd”), che, proprio grazie alle risorse fornite dai classici del genere, il loro costante punto di riferimento durante tutto lo svolgersi della trama, mette da parte il proprio scetticismo e passa all’azione. Tutto ciò con un estro narrativo che sembra attingere a tutti gli stereotipi sui vampiri con il solo scopo di rendervi omaggio, facendo sì che il romanzo divenga una sorta di “atto d’amore” per la Letteratura gotica, la vera e propria arma che permetterà ai protagonisti di lottare contro i non-morti.

Perché questa non è più la sonnacchiosa America di Eisenhower, dove imperavano conformismo e consumismo nel terrore della Bomba, che Matheson mette alla berlina in Io sono leggenda, dove alla fine il protagonista subisce un processo ed una condanna per il solo fatto di essere rimasto “l’ultimo uomo sulla Terra”. Quella di King è la tormentata America degli anni Settanta, che tenta di fare i conti con sé stessa mettendosi alle spalle il Vietnam e il Watergate: un paese che si scopre pieno di tensioni interne, alle prese con una situazione economica tutt’altro che rosea e nel quale si palesano disfunzionalità ipocritamente nascoste vent’anni prima. Non è un caso che gli Anni Settanta abbiano siano stati anche la stagione d’oro del cosiddetto “new horror”, che più o meno inconsapevolmente, veicolava forti messaggi di analisi e di critica sociale.

Le notti di Salem potrebbe essere quindi interpretato come una personale riflessione di un trentenne Stephen King sul rapporto tra la l’Autorità e la Massa, dalla quale si possono distinguere alcuni individui capaci di leggere la realtà filtrandola attraverso il loro background culturale, che diviene così l’arma migliore per non accettare supinamente lo Zeitgeist imperante. La domanda che sembra aleggiare per tutto il romanzo è: vogliamo spegnere il nostro cervello, cedendo alla tentazione di lasciar entrare i vampiri nelle nostre case con la conseguenza di essere trasformati in schiavi delle più oscure forze infernali, oppure ci ricopriamo di aglio e ci mettiamo ad intagliare paletti da conficcare nei loro petti mentre riposano durante il giorno, come ci hanno insegnato i grandi maestri della letteratura gotica, della quale siamo profondi conoscitori? Il tema è attualissimo, considerando che la società occidentale ci vorrebbe tutti “innocui” vampiri succhiatori compulsivi di beni di consumo, totalmente asserviti all’Autorità in quanto tale. Per questo forse la voce critica dell’intellettuale è sempre guardata con sospetto, da Hobbes a Pasolini.

Gli Stati Uniti, a differenza dell’Europa, forse non hanno avuto grandi figure di intellettuali, per lo meno non nell’accezione che noi attribuiamo al termine, tuttavia hanno avuto indubbiamente grandissimi scrittori, che talvolta, sfiorando anche solo indirettamente, grandi temi sociali, hanno fotografato la realtà con una profondità ed una lucidità tali da risultare i perfetti testimoni della loro epoca e, talvolta, rivelarsi quasi profetici. È per questo che continuiamo ad amare Melville, Steinbeck, Harper Lee e Truman Capote ed amiamo allo stesso modo Philip Dick, Richard Matheson, Raymond Chandler e molti altri, che in Italia faticano ancora a togliersi di dosso l’etichetta di “scrittori di genere”. Ma Le notti di Salem, scritto comunque in uno stile già maturo e nel quale è facile riscontrare influenze che vanno da Dos Passos a Fante e Updike, è anche un romanzo che si potrebbe definire seminale per quanto riguarda la poetica di King, dato che vi si trovano già tutti i temi che ritorneranno in molte delle sue opere successive: la sensibilità nel raccontare il mondo dell’infanzia e della preadolescenza, il patto di ferro tra individui apparentemente diversi tra loro, la forza della fantasia che porta i protagonisti ad accettare subito situazioni soprannaturali mettendo da parte razionalità e scetticismo, il tutto nell’ipocrisia di un contesto provinciale sempre pronto a chiudersi su sé stesso, fingendo di non vedere il Male che, quasi congenitamente, vi si annida.

In conclusione, si potrebbe essere indotti a sospettare che sia la provincia americana in quanto tale ad essere affetta da una sorta di “peccato originale” e King ne ha descritto le dinamiche dell New England più o meno come, negli stessi anni, Tobe Hooper e John Carpenter ci hanno mostrato il Profondo Sud o la Bible Belt nei memorabili Non aprite quella porta o Halloween.