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L'estate della paura, di Dan Simmons

Giovedì, 28 Aprile 2016

Simmons è uno degli autori più celebrati della fantascienza degli ultimi 30 anni; It di Stephen King uno dei romanzi horror che ha fatto epoca, per la potenza dei temi nonché per la mole. Si direbbe che stiamo parlando di due mondi separati, dato che tra Hyperion e le cittadine del Maine non ci sono collegamenti. Eppure un collegamento c’è.

Simmons, nella sua poliedricità, ha creato il “suo” It: un romanzo dalla struttura analoga, ma con una sensibilità diversa.

Primi di giugno del ’60: è l’ultimo giorno di scuola e i ragazzi non riescono a restare nei banchi; sarà anche l’ultimo giorno di utilizzo della Old Central School, costruita con megalomania ottant’anni prima, e da allora progressivamente abbandonata, un piano alla volta, dopo che la popolazione ha smesso di crescere. Il terzo piano, originariamente scuola superiore, è chiuso da decenni; erano rimaste elementari e medie, ma ora verrà inaugurato un edificio più moderno.

Nella confusione, pochi notano che Tubby Cooke, bambino non troppo sveglio di terza elementare, scende nei sotterranei, dove si trovano gli unici bagni disponibili. Lo seguiamo mentre allarga una crepa nel muro in cartongesso, notata in una visita precedente, per potersi introdurre nell’intercapedine retrostante e fare uno scherzo al prossimo visitatore. Ma una fosforescenza in fondo all’intercapedine attrae la sua curiosità. Nota anche il pavimento in roccia massiccia: e allora come può il custode usare scale per scendere a “locali di servizio” a livelli inferiori?

Di Tubby non sapremo più nulla per molte decine di pagine, ma quello che vediamo poco dopo è che la sorella maggiore Cordelia, alla chiusura della scuola, lo cerca all’interno ma viene buttata fuori dal preside e dal custode, che la assicurano che è fuggito. I ragazzini malignano sul fatto che il custode della scuola lo sia anche del cimitero...

Inizia così, da semplici dettagli appena inquietanti, una trama ricca di episodi, personaggi, divagazioni, dove lunghe partite a baseball, serate al cinema all’aperto, giochi di fantasia dei ragazzi di una volta, come scavare in una collina per cercare il tesoro dei contrabbandieri, si mescolano a un orrore via via più soffocante. Peraltro l’impressione, dopo le prime 200 pagine (quelle che servono a inquadrare un ambiente così dettagliato), è che l’autore mescoli con disinvoltura generi diversi:

  • horror “fisico” alla King/Matheson (il camion del macello che porta carcasse putrefatte alla fabbrica del sego, forse non tutte morte; l’ambiguo custode della scuola che butta il cadavere di una scimmia nello stagno davanti al ritrovo dei ragazzi; lo stesso che cerca di travolgere Duane con il camion);
  • horror inquietante, stile “ghost story” (le voci alla radio nella stanza di Duane, i pipistrelli negli alberi, il soldato che sembra inseguire i ragazzi senza mai riuscire a interagire con loro);
  • horror soprannaturale puro (la maestra cadavere che torna nella scuola per incontrare la collega);
  • un tocco alla Lovecraft (il tunnel, simile a un tratto intestinale, nella baracca del custode del cimitero...).

Anche dal punto di vista stilistico mi sembra che a Simmons ne manchi uno preciso: non è volutamente quotidiano e concreto come King, né letterario come Bradbury, né poetico come Ramsey Campbell, né funzionale come James Herbert o Richard Matheson; in sostanza una fusione dei primi due, considerando i lunghi excursus nel rievocare la beata preadolescenza nei campi di grano dell’Illinois, già visti in tanti romanzi USA ma qui particolarmente ben resa.

La sensibilità di Simmons è comunque ben diversa da quella di King, in generale crudele ai limiti del sadismo con le sue “vittime” e gelidamente privo di empatia per esse (come è giusto in un racconto horror, si capisce!): Simmons scrive anche l’elegia della sua infanzia, e si sente la pietà per quelli, tra i ragazzi del gruppo, destinati a cadere nella battaglia e a non diventare adulti.

Notevole la caratterizzazione anche sociale dei personaggi: senza considerare gli esterni al gruppo, nella sola “Pattuglia ciclistica” abbiamo: ragazzi “di buona famiglia” come Kevin e gli Stewart; proletari come Mike; white trash (ovvero sottoproletari) come Cordie Cooke: non a caso è a lei che viene fatto sparire il fratellino per sacrificarlo; ma è anche lei ad avere più fegato di tutti quei ragazzoni sportivi messi insieme, e a tirarli fuori dai guai peggiori, come un instancabile deus ex machina.

Il gruppo è variegato anche dal punto di vista religioso, aspetto non banale. È intenso il cattolicesimo del chierichetto Mike e del suo parroco padre Cavanaugh, visto come bizzarria dagli amici, protestanti di varie confessioni (Catholics have many weird rites... qualcuno sospetterà padre C. anche del massacro dei gatti della signora Moon, sempre per qualche strano rito cattolico, ma ostia consacrata e acqua santa si riveleranno un’utile arma tattica), così come è affascinante la famiglia dei liberi pensatori McBride: il ragazzino-filosofo Duane, lo zio storico e libertino Art (scapolo dotato niente meno che di amante, in questo ambiente ultratradizionalista), e il commovente Old Man, padre di Duane, genialmente fallito in tutte le sue imprese, capace di costruire personal computer meccanici e segreterie telefoniche decenni prima degli altri, ma solo per essere osteggiato dagli “sgherri del capitalismo monopolista”, come le compagnie telefoniche. Non a caso la violenza dei mostri, umani e non, si accanirà in particolare contro questa atipica famiglia.

Ben strutturati i personaggi anche nei loro rapporti reciproci: il gruppo vive della polarità tra Mike, leader naturale, ignorante ma intelligente e coraggioso (insomma il Giovanni Boka della situazione, per ricordare I ragazzi della via Pàl) e il grasso e profondo Duane, l’unico a non avere nemmeno una bici e a farsi chilometri a piedi sotto il sole di giugno con una camicia di flanella. Poi ci sono gli outsider... il piccolo Jim Harlen (cinico e sgamato ma intrepido fino all’autolesionismo: il Nemecsek della situazione), la brutta, sporca, pazza, apparentemente stupida Cordie, dalla sessualità “sregolata” già a 11 anni: Jim non avrebbe mai pensato di rimanere indifferente alla vista di un paio di mutande femminili, con la ragazza dentro per di più... lei gli strinse l’inguine: “togliamoci i pantaloni, non c’è nessuno” “magari più tardi”, rispose Jim” (e se lei non avesse avuto in mano una lupara, lui avrebbe probabilmente risposto meno educatamente, aggiungo io).

Del tutto eterogeneo anche il gruppo dei “mostri”, le creature delle tenebre che via via compaiono con ruoli e poteri diversi: tra umani vivi ma fetenti, morti recenti, morti ultradecennali, creature mostruose spuntate da chissà dove... forse fin troppo eterogeneo: viene da chiedersi quante facce abbia il Male!

La numerosità dei protagonisti permette lo svolgimento di azioni in parallelo, con montaggio alternato: così nel capitolo 7, dove tutti i protagonisti cercano di andare allo spettacolo gratuito offerto dal milionario Ashley-Montague, ma con esito ben diverso, anche se tutti sentiranno la presenza del Male che si aggira per la cittadina; o nel capitolo in cui Mike intervista l’ubriacone cittadino sui fatti del 1900, mentre Dale fa lo stesso con l’ambiguo miliardario Ashley-Montague, autonominatosi “feudatario del paese” come suo padre e suo nonno: e il contrasto tra le risposte che ottengono è una finezza della storia.

La trama andrà avanti, seguendo l’evoluzione anche mentale di questi ragazzi, in un crescendo, fino a quando, consapevoli che i mostri li vorranno comunque morti, decidono di contrattaccare a qualunque costo, finalmente uniti oltre ogni convenzione sociale. Può sembrare strano vedere questi 11-12enni compiere azioni degne di un commando, ma non dimentichiamo che erano ragazzi di campagna di sessant’anni fa, non quei polli d’allevamento dei nostri figli di oggi; e la Seconda guerra mondiale e la guerra di Corea erano appena finite, la guerra quindi era nella cultura quotidiana, così come erano una presenza quotidiana le armi (penso che se oggi proponessi a mio figlio una scatola di soldatini Atlantic e un fumetto della collana Supereroica, tanto diffusi negli anni ’70, mi troverei i servizi sociali a casa...).

Un gran finale grand-guignolesco in cui tutti i protagonisti si ritrovano nella stessa scuola infestata per uno scontro finale è un degno scioglimento della vicenda, almeno dal punto di vista dell’azione: molte domande rimangono senza risposta, anzi ne vengono di nuove (una classe scolastica composta di cadaveri?), ma forse una risposta la avranno nel sèguito L’inverno della paura. E poi questo è horror, non fantascienza: non ci dev’essere una risposta a tutto.

  1. Questa ossessione dei “mostri sotto il letto”, così tipica dei bambini USA (c’era anche in Calvin e Hobbes), l’hanno anche i bambini italiani? Io non la ricordo. Abbiamo letti diversi?
  2. 35 anni fa i Blues Brothers ci familiarizzarono con i ridicoli “nazisti delll’Illinois”, ma ridevamo senza capire di cosa si parlasse; qui vediamo invece come il Ku Klux Klan fosse attivo non solo in Alabama, ma anche nel civilizzato Midwest dove non c’era mai stata schiavitù.

Scheda del libro

  • Titolo: L'estate della paura
  • Sottotitolo: Una trama ricca di episodi, personaggi, e divagazioni che si mescolano a un orrore via via più soffocante
  • Autore: Dan Simmons
  • Traduttore: Riccardo Valla
  • Pagine: 500
  • Editore: Interno Giallo Mondadori
  • Anno: 1994