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Personaggi Horror. Intervista ad Alfredo Castelli

Martedì, 26 Maggio 2015

Incontro Alfredo Castelli in pausa pranzo, in un giorno di maggio in cui finalmente, anche a Milano, si può stare all’aperto. Una bottiglia di vino fresco, una tenera giornata primaverile, un disteso momento di otium: sono occasioni come queste a dar gusto alla vita. Parliamo di tante cose: delle ricerche matte che ci piace fare, di archivi da spulciare, del Buffalo Bill italiano e della tristezza di collezioni smembrate e vendute pezzo per pezzo; del sogno di uno spazio dedicato alla cultura popolare, dove raccogliere le nostre – e altrui – biblioteche. Infine, in pace con il mondo, accendo la sigaretta e il registratore e ripenso con un sorriso all’osservazione di una giovane amica: “Ma perché non fai come fanno tutti? Scrivi le domande e ti fai rispondere per mail!”.

Divario generazionale? Riascoltare le nostre voci, con sottofondo di sirene spiegate – a Milano è emergenza continua – e andirivieni di camerieri, riprodurre nello scritto le sfumature del parlato, sono piaceri nei quali, con sacra lentezza, si prolunga quello dell’incontro.

Raccontami qualcosa dei tempi eroici di Horror.

Partiamo da Emilio De Rossignoli: io, purtroppo, non lo conoscevo di persona. L’ho conosciuto tramite i suoi articoli, che ricordo benissimo. I contatti con lui li teneva Pier Carpi, il co-inventore della rivista.

Quindi Pier Carpi e De Rossignoli si conoscevano...

Sì, infatti era Carpi che ci faceva avere il suo materiale. Carpi era nel mondo dell’esoterismo, della magia, e aveva preso contatti sia con De Rossignoli sia con Ornella Volta: perché e come non gliel’ho mai chiesto, però. Ornella Volta, che invece ho conosciuto, con Valerio Riva aveva pubblicato la raccolta I vampiri tra noi e scritto Il vampiro. Siccome Horror si occupava di queste cose, Carpi ha saputo abilmente scovare questi personaggi.

Sulla rivista e l’epoca...

La cosa che ricordo di Horror, adesso, a distanza di tanti anni, è lo straordinario editore Gino Sansoni; io lo chiamo sempre ‘il pirata Nero’, ma con molto affetto, in quanto rifiutava ogni convenzione sui diritti d’autore – degli altri – e pubblicava quel che voleva piratandolo dalle riviste di tutto il mondo. In compenso, però, pagava i collaboratori, e anche bene. Era un attaccabrighe: se andavo fuori con lui – io che ero, e sono rimasto, abbastanza timido – mi vergognavo come un ladro, e mi vergognerei anche adesso. Ricordo che una volta, davanti alla stazione di Cadorna, dove Sansoni aveva l’ufficio, c’era uno strillone della Notte che parlava del papa, e lui: “A me del papa non me ne frega un cazzo!”, e il ragazzo: “Ah, lei offende così il papa: dia due schiaffi a me piuttosto che offendere il papa!”. E Gino gli ha dato due schiaffi. Era tremendo. Magari, dopo gli schiaffi, gli dava anche cinquemila lire, che erano un sacco di soldi. Gli piaceva fare queste cose.

Era il marito di Angela Giussani...

Sì, infatti io ho conosciuto prima lei. Sansoni faceva un’infinità di pubblicazioni vergognose, che sto cercando con grande pazienza di mettere insieme, per farne un libro. Prima della celofanatura, che allora ancora non si poteva fare per ragioni tecniche, Sansoni si era inventato una cosa meravigliosa: un tipo di copertina un po’ più lunga, ripiegata e incollata in modo che la rivista non si potesse aprire. Così chi comprava ‒ come facevo anch’io da ragazzino ‒ attratto dalla copertina con su stampato «Libidine! Lussuria! Alcove! Concupiscenza!», poi apriva il lembo e scopriva che dentro era una Famiglia Cristiana, solo meno spinta e stampata male. Per esempio, aveva pubblicato Parigi nuda – titolo originale Pietà per i bambini grandi, di Lionello Natoli. Con il titolo originale venduto niente, ricopertinato come Parigi nuda: boom!

Faceva queste maialate giganti, però se c’era una sfida come quella di Horror, la prima rivista italiana ad avvalersi solo di autori italiani, ci si tuffava, costasse quello che costava, proprio perché era una sfida e lui si divertiva. Ne ha fatte tante... Ha fatto anche riviste che io non apprezzo – per esempio di oroscopi e astrologia – e gli riconosco che non solo le ha fatte bene, ma le ha fatte dieci, dodici anni prima degli altri, anche se poi non aveva la forza d’urto per portarle avanti. Era bravo a prevedere che cosa poteva piacere al pubblico. Faceva anche un sacco di cose veramente interessanti; dopodiché, quando andavano male, ritornava a mettere un donna nuda in copertina, che secondo lui vendeva sempre tantissimo. Secondo me, invece, era un errore, perché gli precludeva un tipo di pubblico che magari avrebbe apprezzato il contenuto: per esempio, era capace di stampare Frankenstein e di intitolarlo Le alcove del mostro convinto di venderlo di più. Horror era una rivista in anticipo sui tempi. Era fatta veramente con molta cura, anche da parte di Sansoni, che pagava bene i collaboratori ‒ bene, davvero ‒ ma è andata male... Insomma, vendeva sulle 30.000 copie...

Ma sono tantissime!

Sì, se oggi vendi 30.000 copie di una rivista, ti baci i gomiti, fai i salti di gioia, ma allora, che si vendeva veramente di tutto, erano poche. L’editoria era la gallina dalle uova d’oro. Era il momento dei cosiddetti ‘neri’ e pure il fornaio sotto casa lasciava il suo lavoro e si metteva a fare l’editore. Horror costava 300 lire – come Linus – che oggi sarebbero 5 o 6 euro, forse anche di più. Era cara. Quindi di Horror ricordo soprattutto la grande voglia di fare di Sansoni. E ricordo Pier Carpi, personaggio controverso, con cui avevo litigato brutalmente...

Perché avevate litigato?

Perché eravamo due galli nel pollaio, forse, ma soprattutto perché aveva un carattere difficile da sopportare. Alla fine, grazie al cielo, abbiamo fatto pace, per cui mi fa piacere pensare a lui, che in un suo terribile librone su Licio Gelli, Il maestro venerabile, ha scritto che ricordava con affetto i suoi amici, in particolare me, perché avevamo litigato e poi ci eravamo riconciliati. Il librone su Gelli non posso dire di apprezzarlo, ma la sua dichiarazione di amicizia sì, e comunque bisogna riconoscere a Carpi una certa correttezza, o come la vuoi chiamare...

Coerenza...

Sì, coerenza. A dire il vero non sono un sostenitore della coerenza in assoluto: spesso la coerenza giustifica gli idioti. Insomma, Carpi era molto pesante, aveva delle fantasie folli, riteneva di essere Cagliostro... Però era sicuramente una persona geniale. Un vero peccato, perché se non avesse avuto queste farneticazioni poteva veramente diventare un personaggio importante. Era bravo, nel suo genere. Ma si faceva fregare dai suoi deliri.

Erano deliri reali, mi pare di capire. Non ci faceva. Ci era...

Sì, sì, ci era davvero. Così, di punto in bianco saltava su e diceva: “Ieri ho preso l’aereo e sono andato a trovare Reza”. Reza Pahlavi, lo scià!

Mitomania.

Sì, e io allora non lo sopportavo, mi faceva imbestialire. Oggi invece potrei stare lì ad ascoltarlo anche tutto il giorno e mi farei delle risate. Chissà perché raccontava queste cose demenziali, di questi personaggi che a suo dire conosceva... Qualcuno l’aveva conosciuto veramente. Per esempio, attraverso la massoneria aveva avuto un contatto con il principe Savoia e aveva fatto per Oggi un importante memoriale del principe e di Marina Doria – a me questa cosa non piaceva, ma lui se ne vantava tantissimo. Era diventato un supermonarchico pazzo. Era capace di fingere le telefonate: “Pronto? Ah, ciao Burt!”. Burt Lancaster... Aveva una moglie pazientissima. Poverina, le avevano promesso mari e monti, il Comune o quel che era, la riscoperta del marito eccetera eccetera, e poi niente. Bisognerebbe che qualcuno si decidesse davvero a ristampare qualcosa di Carpi. Per esempio, aveva fatto una serie che si chiamava Teddy Bob, una sciocchezza, se vuoi, ma era interessante. Natalia Aspesi ne aveva scritto sul Giorno – credo – perché Carpi si era inventato un gergo giovanilistico, fasullo, tipo «dentiere» per dire ‘sorrisi’ e cose simili. C’era una bella invenzione dietro... poi se di una cosa così ne fai un quindicinale – e ne sforni sessanta o cento – per forza di cose alla fine cadi nelle banalità. Se Carpi avesse lavorato anche con altri editori, e magari non avesse fatto sempre in modo da tirarsi addosso tutti quanti... chissà... sarebbe diventato davvero importante. Era stato dotato dal Padreterno di un’infinità di chance e le ha buttate via... Era anche bravissimo a utilizzare i media: «Carpi sfida a duello Roberto Gervaso!», che aveva scritto anche lui un libro su Cagliostro.

C’è un altro personaggio di cui ero molto amico e che ancora oggi mi manca: Bonvi. L’errore di Bonvi, come di Carpi, era di fare anche lui delle strane piazzate: le fai a vent’anni, e va bene; le puoi fare a trenta, forse a quaranta... poi basta! A differenza di Carpi, però, Bonvi era una persona molto simpatica e solare, per cui alla fine si faceva perdonare. Carpi non era né simpatico né solare né, a dirla tutta, gradevole a vedersi, per cui era molto meno facilmente perdonabile. Ma tutta la tensione fra di noi, dopo anni, si è sciolta, e alla fine c’è stato veramente un abbraccio. Infatti, le ultime cose che ha scritto, le ha scritte per me. I vecchi amici sono quelli che si stimano di più perché li conosci, sai già che ti tireranno una coltellata, ma poi si chiacchiera e torna tutto come prima. Il problema sono i nuovi.