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Le ossa di zucchero, di Domenico Paolella

Giovedì, 13 Febbraio 2014

Riscoprire libri dimenticati significa anche ritrovare personaggi che hanno contribuito a fare la storia dell'editoria in Italia: una storia discreta e non strillata – lontana dalla luce dei riflettori perché poco interessante per i più – ma preziosa per ripercorrere il nostro passato in una prospettiva insolita, come abbiamo già osservato parlando della straordinaria avventura dei piccoli editori romani "d'assalto" degli anni Sessanta. La collana «Sotto accusa», pubblicata da Fabbri nel corso del 1973 e destinata non solo alle librerie, ma anche alle edicole, comprende due serie, una di romanzi (profilata in rosso) e una di inchieste (in nero). Tra gli autori dei romanzi, tutti thriller "di costume" calati a fondo nella scottante e contraddittoria società italiana dell'epoca, compaiono Enrico Vaime (Novanta di gradimento), Giuseppe Pederiali (Povero assassino), Inisero Cremaschi (Le mangiatrici di Ice-Cream), Luciano Anselmi (Il commissario Boffa), Giuseppe Bonura (Morte di un senatore), Gaetano Gadda (Il complice del suicidio), Vieri Razzini (Terapia mortale, da cui Lucio Fulci trasse il memorabile film Sette note in nero, del 1977).

Il direttore della collana era Raffaele Crovi (1934-2007), poliedrica figura di professionista editoriale, scrittore (di poesie, romanzi e saggi), produttore e conduttore di programmi radiofonici e televisivi. Il suo esordio nell'editoria risale al 1954, come assistente di Elio Vittorini per la progettazione e la realizzazione della collana «I Gettoni»; qualche anno dopo era tra i redattori della rivista «Il menabò» di Vittorini e Calvino. Una formazione d'eccellenza, insomma, nella gloriosa Einaudi degli anni d'oro. Documentandomi su di lui, scopro che nelle sue opere – e mi riprometto di leggerne qualcuna – ricorrono i temi del potere salvifico della condivisone, della corruzione che deriva dal potere, della fede, dell'eros, dell'utopia, della cultura del cibo:

Si sta a tavola
per fare festa
con l'odore
per nutrire
di sapore i sentimenti,
per tessere in testa,
con il calore
del cibo, una favola.1

Di cibo (e di corruzione) si parla anche nel romanzo di Domenico Paolella Le ossa di zucchero. Cibo rituale (in Sicilia le ossa di zucchero sono i dolci del 2 novembre, la celebrazione dei morti); cibo degli ospedali e delle caserme, confortevole surrogato di casa e famiglia per chi è solo («Il cibo dell'esercito, delle prigioni o degli ospedali mi è sempre piaciuto. Lo dichiaro senza ironia»); cibo d'osteria consumato in compagnia di una bella donna («Ci abbandonammo alla masticazione... Carne di elefante... Carne di galera... Ci provocarono una piccola ondata di riso anche le olive, minuscole, bucherellate e amare... Ridemmo del formaggio che battei sul tavolo come fosse un martello: pietra. Prosciugammo un litro di vino in due»). Cibo ingannatore che i signori offrono al "consòlo", la "festa" che segue i funerali («crostini al caviale o al salmone, mozzarelline minuscole come noci, insalate con la maionese, polpettine di vario colore, conchigliette di cristallo con polpa di aragosta color bambino... cibi a cui non ero abituato, troppo cotti, troppo conditi, troppo agrodolci...»).
In una Sicilia devastata dal terremoto, lo stralunato protagonista, tormentato da fame atavica, si aggira su un sidecar che gli fa anche da casa: per dormire ci si raggomitola dentro come in un protettivo utero materno; alla mattina mette a bollire il caffè su un fornelletto; per pranzo, un uovo sodo. Il suo mestiere consiste nello spedire al Nord i capelli corvini – mai toccati da parrucchiere e quindi robusti e perfetti – delle popolane (vive o morte) per farne parrucche, anche se comincia ad avere qualche difficoltà per via della recente invasione di capelli dall'Oriente, di qualità migliore e dal costo più basso... A suo modo è felice, perché è libero e incosciente; ogni tanto si mette in qualche nuova «giostra» ("affare" blandamente illegale) e via. I guai cominciano quando, per tagliare la chioma di una vittima del terremoto, assiste a qualcosa che non avrebbe dovuto vedere.
Questo notevole romanzo ha un suo punto di forza nella strategia narrativa: è raccontato in prima persona, quindi vediamo e sentiamo con gli occhi e la mente del protagonista-voce narrante, ma la semplicità e l'ingenuità del personaggio non ci appartengono e quindi, di fatto, "ne sappiamo" più di lui e intuiamo a poco a poco la verità. La verità è «una cosa che comincia per M»2, taciuta e negata fino all'ultimo: «Ci sono tante parole che cominciano per "m". Morte, per esempio; ma anche malattia, mancia, muffa, pure mamma. Fate un po' voi, maresciallo». L'altra caratteristica notevole è lo stile asciutto e preciso nell'evocare immagini quasi cinematografiche con poche parole, quelle giuste.
E in effetti Domenico Paolella (1915-2002) di cinema ne sapeva, eccome: fu regista e sceneggiatore di moltissime pellicole, "musicarelli" (film popolari con cantanti famosi) ma non solo (peplum, spionaggio, western...). Fu anche direttore artistico e redattore del cinegiornale la Settimana Incom e con un documentario proprio sulla Sicilia (La tragedia dell'Etna) vinse il premio di categoria al Festival di Cannes.
Curiosità: la suggestiva copertina (le macerie del terremoto disegnano un volto completato da due inquietanti occhi indagatori spalancati nel cielo; sullo sfondo, a sinistra, il sidecar) è di Karel (Carolus, alla latina, nei crediti) Thole, il mitico disegnatore di «Urania».

  1. Queste e altre interessanti notizie su www.raffaelecrovi.it, dove apprendo con piacere che l’archivio di Crovi è stato donato alla Biblioteca «Antonio Panizzi» di Reggio Emilia e non è andato disperso, come purtroppo spesso capita.
  2. Vale la pena di ricordare lo splendido racconto di Dino Buzzati Una cosa che comincia per L.

Scheda del libro

  • Titolo: Le ossa di zucchero
  • Autore: Domenico Paolella
  • Pagine: 156
  • Editore: F.lli Fabbri Editori
  • Anno: 1972