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La Compagnia del Trivelin, di Giannetto Bongiovanni

Domenica, 06 Maggio 2018

La Compagnia del Trivelin è un libro ingannevole, lascia presagire epica e mito, virando invece verso la commedia e poi la tragedia. Non mi spingo oltre, per non rovinare la lettura del libro, anche se già così è facile intuire il finale dopo aver letto i capitoli iniziali. Le vicende narrate da Giannetto Bongiovanni ci portano in Pianura Padana, ancora una volta in quella terra di confine che è il mantovano, quel non luogo tra Lombardia, Emilia e Veneto, la cui  geografia mutevole, a seconda del grado di scolarizzazione, della memoria e dal punto di osservazione, si è portati spesso a considerare priva del fascino mitologico che invece concediamo alle province limitrofe, come Modena o Reggio Emilia.

Dopo Pietro Ghizzardi, Clelia Marchi, Arturo Frizzi e Ulisse Barbieri, di cui abbiamo già parlato, e allargando il “tiro” di alcuni metri fuori dal confine della provincia virgiliana inserendo anche Sergio Terzi “Nerone” e Giuseppe Bodini, credo di aver ampiamente dimostrato come il mantovano possa vantare una propria significativa tradizione nell’ambito della narrativa popolare. Nel filone si inserisce di diritto anche Giannetto Bongiovanni, giornalista, redattore e direttore di vari giornali locali nato a Dosolo nel 1890 e deceduto a Brescello nel 1964. Nel secondo dopoguerra, direttore della sala stampa Eiar (oggi Rai) di Milano, ideò il popolare Gazzettino padano, tuttora in onda in radio. Collaborò a numerosi progetti con Cesare Zavattini e Dino Villani e non cessò per tutta la vita di raccontare l'epopea del grande fiume e dei paesi umili ma orgogliosi, che sorgono lungo le sue sponde1. La sua opera più significativa fu proprio La Compagnia del Trivelin, uscito per Sonzogno nel 1931 e ripubblicato da Sometti nel 2004, anche se Bongiovanni ebbe modo di dimostrare tutta la sua bravura cimentandosi anche con libri di viaggio e storici, sempre con ottimi risultati. Il libro in ogni caso è di difficile reperibilità, anche nell'edizione più recente.

La Compagnia del Trivelin si svolge ad inizio Novecento nella campagna a due passi dal Po, nel paese natio dell’autore, in un piccolo fazzoletto di terra, tra Dosolo, Villastrada e Guastalla. Bongiovanni usa senza remore il dialetto di quella zona e questo lascia presagire solo buone cose: parla di caccia e di battute alla lepre, di cani, fucili e grandi mangiate, di donne pastose, come ce n’erano una volta, quando la “carne” era ostentata nelle giornate di festa, vuoi a tavola, vuoi sotto i busti che ad un certo punto cessavano di contenere, esibendo curve e controcurve. Bongiovanni non è mai sfacciato, come potevano esserlo i “signori” di quel periodo, lascia immaginare e leggere tra le righe, anche se quando si tratta di prelibatezze gastronomiche va giù pesante, narrando un tipico pranzo mantovano preparato in occasione del patrono: solo per elencare portate e pietanze richiede qualche pagina, con incursioni filosofiche sul senso della vita che nobilitano l’intera opera. Chissà, viene da pensare, se Karen Blixen ha avuto modo di leggere il romanzo di Bongiovanni prima della stesura de Il pranzo di Babette

Ma il Po che lento e maestoso segna il confine non solo tra Lombardia ed Emilia, ma anche tra la vita dalla morte dei personaggi, visto che per andare all’ospedale bisogna attraversarlo. Bene, o forse male, non posso ormai nasconderlo, La Compagnia del Trivelin muta pagina dopo pagina, trasformando, con feroce ironia, uno scherzo in tragedia. L’espediente è cercato e voluto, perché se è vero che gli amici si vedono nel momento del bisogno, è anche vero che gli eroi sanno perdonare e farsi perdonare, anche se nulla possono nei confronti della natura, che fa e disfa come meglio crede. Il Po, che fino ad un certo punto è solo scenografia, entra in scena per il gran finale per ristabilire gli equilibri del quieto vivere, anche a costo di mandarne qualcuno al camposanto, come un Dio cattivo che punisce i propri figli. Inutile arrabbiarsi con lui, non avrebbe senso, tanto meglio mettersi a piangere lacrime di dolore, che a volte fanno bene, anche se contano poco.

Basta, ho detto troppo, vi basti sapere che il Trivelin è uno strumento che “trita e scava” e che nel volgo padano può significare anche una tipica compagnia di buontemponi goliardici. Un duplice significato, proprio come quello celato da Bongiovanni tra le pieghe del libro, dove epica e pathos si nascondono sotto la scorza di persone semplici, dove la disgrazia può essere dietro qualsiasi curva, dove il fato regna sovrano e dove, nonostante tutto, un messaggio di speranza viene lanciato: siate uomini, nella buona e nella cattiva sorte.

All’inizio del libro si legge, nella dedica: "A Nibale - Gigen - Cisaren, a tutti oro e ai miei amici cacciatori assai prodi, Bevitori illustri, Camminatori di lunga lena, immensi raccontatori di frottole questo libro è dedicato. Sia pegno della nostra amicizia, prova dell'amore che lega me esule alla mia dolce terra di Padania". La Compagnia del Trivelin è tutta in questa dedica, un libro sull’amicizia, nel senso più nobile del termine, un libro che non nasconde un amore, quello per la propria terra d’origine, che appare più romantico che sfacciato. con quale rimpianto per i secoli passati. Dosolo è oggi un piccolo paese, d’accordo, ma un tempo era più importante, vuoi per il ponte, vuoi per il castello. Bongiovanni ce lo ricorda, con orgoglio, quasi con la speranza che il suo libro possa aiutare a rinverdirne i fasti. Su questo mi trovo d’accordo con lui, in fondo è quello che sto facendo da mesi leggendo e recensendo vecchi libri sul mantovano...

Ah, dimenticavo, per i più somari in geografia, Mantova è in Lombardia; Bongiovanni lo sapeva bene e tra le righe ha anche avuto modo di ribadirlo, evitando di cadere nella retorica, nel “facile” pathos emiliano. Anche questo è un pregio, bravo Giannetto!

  1. Domenica la presentazione dell’antologia su Bongiovanni, Gazzetta di Mantova, 7 gennaio 2016

Scheda del libro

  • Titolo: La Compagnia del Trivelin
  • Autore: Giannetto Bongiovanni
  • Pagine: 256
  • Editore: Casa Editrice Sonzogno
  • Anno: 1931