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Gnanca na busia, di Clelia Marchi

Martedì, 04 Aprile 2017

Dopo il manoscritto di Giuseppe Bodini, i richordi di Pietro Ghizzardi e le difficoltà di Nerone, accomunati da una sorta di origine geografica e dal medesimo desiderio di tramandare ai posteri ricordi e considerazioni, rimaniamo in zona per occuparci di Clelia Marchi e del suo lenzuolo.

Contadina di Poggio Rusco, classe 1912, nel 1992 vide realizzarsi il grande sogno, la trasposizione su carta di quanto aveva scritto per una quasi un secolo su uno dei lenzuoli del corredo matrimoniale, largo più di due metri e lungo non molto di più. Un po’ quanto fatto per una vita, seppur in forme diverse, da Arnoldo Mondadori, nativo anch’esso di Poggio Rusco, paese che per l’occasione diventa “ombelico del mondo”. Nel novembre del 1989 Luca Formenton, nipote del grande editore, in visita al paese della bassa mantovana, sente parlare per la prima volta del “libro scritto su un lenzuolo”. Quando vede l’opera e incontra l’autrice, comprende di trovarsi di fronte a un’eccezionale prova d’amore per il libro e per la narrazione, un’impresa di scrittura unica, che meritava di essere portata all’attenzione del grande pubblico1. Nel 1992 esce infatti per la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori la prima edizione di Gnanca na busia (Neanche una bugia).

Care persone fatene tesoro di questo lenzuolo che c’è un pò della vita mia; è mio marito; Clelia Marchi (72) anni ha scritto la storia della gente della sua terra, riempendo un lenzuolo di scritte,dai lavori agricoli, agli affetti.

Queste le parole con le quali Clelia inizia a raccontare la storia della propria esistenza: riga dopo riga narra dell’evolversi delle stagioni della vita, di quando a 14 anni "dietro la macchina del frumento" conobbe Anteo Benassi che sarebbe diventato suo marito, del primo figlio avuto in giovanissima eta, del duro lavoro nei campi della Pianura Padana, della morte dell'amato sposo, alle soglie delle nozze d'oro. Proprio l’incidente che la priva dell'amore di un'esistenza intera, del padre dei suoi otto figli (dei quali quattro morti prematuramente) è l’elemento scatenante che la porta a scrivere, come terapia per superare il dolore: “Le lenzuola non le posso più consumare col marito e allora ho pensato di adoperarle per scrivere”. Vista la dimensione dell'inusuale foglio di lino, Clelia pensò bene di numerare le righe una ad una, per non perdere il filo del discorso, per non perdersi in chiacchiere e ricordare, ricordare la figura del marito verso il quale traspare un grande amore: la persona più importante per noi - ha spiegato - è quella con cui vai a letto tutte le notti. Notti che devono essere sembrate tristi e solitarie, dopo la dipartita di Anteo, tanto che una di queste sente l’impellente bisogno di scrivere: non trova in casa nessun pezzo di carta e di colpo la memoria le restituisce il volto della maestra elementare. "Martini Angiolina raccontava che gli Etruschi avvolgevano le mummie nelle lenzuola". Apre l’armadio e prende un lenzuolo bianco del corredo, incolla sulla sinistra la foto del marito, sulla destra la sua e al centro il sacro cuore di Gesù. Il resto sono parole, la storia della propria vita raccontata senza Gnanca na busia.

Il lenzuolo, a due piazze, non è una scelta casuale, rappresenta il primo punto di contatto dell’amore tra uomo e donna, soprattutto quello del corredo, destinato magari alla prima notte coniugale. Non potendo e non volendo più farne uso da sola, la sua superficie ha raccolto comunque una storia d’amore e sacrifici, con l’aggiunta di qualche poesia in rima. Nella vita di Clelia le poesie devono essere state ben poche, ma sono ben identificabili, a dimostrazione che una vita di povertà non preclude una vita ricca di sentimento. Questo deve averlo capito anche Clelia, che oltre a coprire il lenzuolo con 185 righe orizzontali ha posto 9 poesie su altrettante colonne verticali, quasi fossero dei merletti, un abbellimento alla vita, un decoro che rende tutto più interessante. Insomma, la grafia potrà anche essere un po' incerta e malferma, l'italiano insicuro e zoppicante, la vita non certo rose e fiori, eppure da tutto questo potrà emergere poesia, amore e rispetto, anche se gli elementi lasciassero presagire il contrario. La storia, le parole di Clelia, prendono il via grazie ad una promessa: lui ha 25 anni, lei 14, al compimento dei 16 la sposerà. L'impegno sarà rispettato e il 21 febbraio del 1929 nascerà il primo figlio. Bravo Anteo!

Come Ghizzardi, anche Clelia utilizza un italiano povero, una lingua ibrida imbastardita, una sorta di metalinguaggio padano fatto di termini italiani e dialettali, spesso uniti tra loro a formarne di nuovi. Ma mentre Ghizzardi ha raccontato un mondo prevalentemente maschile, dove le donne erano un “miraggio”, Clelia firma un diario al femminile, dove le difficoltà dell’essere madre e donna, in un mondo contadino per certi versi molto misogino e maschilista, emergono prepotentemente: avere figli o non averne poteva essere lo spartiacque tra una vita problematica e una più semplice. Clelia sembra non avere dubbi, nemmeno sull’aborto: “ma cose questo andamento di vita, vogliono divertirsi niente figli sarebbe comoda la vita; ma volere abbordire per me: è come uccidere una persona”.

Sul diario-lenzuolo non c’è l’epilogo, la diffusione del medesimo ad altre persone, che in parte conosciamo ma del quale manca un elemento importante: prima della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, nel 1986 il frutto delle fatiche di Clelia viene affidato alle cure di Saverio Tutino, ideatore e fondatore dell’Archivio Diaristico Nazionale, che ne capisce subito l’importanza, tanto che il lenzuolo diventa immediatamente uno dei simboli dell’Archivio, con tanto di stanza ad esso dedicato e galleria di foto sul sito de La Repubblica Firenze. Quel fortunato incontro è stato descritto magistralmente dallo stesso Tutino, nella prefazione all’edizione della Fondazione Mondadori:

“Clelia Marchi arrivò a Pieve Santo Stefano un giorno d’inverno del 1986, col suo lenzuolo sotto il braccio. Era venuta in treno fino ad Arezzo. Era scesa dalla corriera, con l’aria compunta e festosa delle donne già avanti negli anni, che hanno trascorso una vita intiera senza mai uscire dal loro comune di nascita. Un viso bello, incorniciato da una capigliatura canuta e ben pettinata, le trecce attorcigliate, gli occhi sfavillanti. Portava l’età indefinita di una capofamiglia contadina vestita bene per una cerimonia.”

Quel giorno deve essere stata una festa, quella festa che Clelia non riuscì mai a fare assieme ad Anteo per festeggiare cinquant'anni di vita coniugale. Mai erano usciti a cena o a pranzo assieme, lo avrebbero fatto in questa occasione. Il destino ci mise lo zampino, Anteo venne travolto da un'automobile e tutto il resto ve l'ho raccontato sopra, ancora meglio l'ha fatto lei sulla superficie del lenzuolo. Nel 2006 i due si sono ricongiunti, il 6 marzo di quell'anno Clelia è venuta a mancare, a 93 anni.
Il libro fu un successo e l'edizione del 1992 è relativamente facile da recuperare. Nel 2012 è stato ristampato come Il tuo nome sulla neve da Il Saggiatore, che nonostante la relativa vicinanza nel tempo è esaurito presso buona parte dei distributori nazionali. In questa nuova edizione la prefazione è opera di Carmen Covito e Vinicio Capossela ebbe a parlarne su Il Sole 24 Ore, nel dicembre del 2012, affermando che "portare avanti la memoria richiede più dovere nell’ascoltare che nello scrivere". Chiudiamo quindi con l'invito a recuperare Gnanca na busia, perché saprà commuovervi, dimostrando ancora una volta che non serve aver studiato per fare poesia...

  1. Clelia Marchi, Gnanca na busia. Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1992. IV di copertina.

Scheda del libro

  • Titolo: Gnanca na busia
  • Autore: Clelia Marchi
  • Pagine: 78
  • Editore: Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori
  • Anno: 1992